Ne abbiamo viste tante. Ma il teatro dell’assurdo che ispira le mosse della nostra politica non aveva ancora offerto uno spettacolo così surreale. Tra qualche giorno, il 29 settembre, la Camera voterà sui famosi cinque punti programmatici del governo. Ma, mentre tutti i gruppi della vecchia maggioranza di centrodestra, compresi i finiani, promettono il loro “sì” all’esecutivo, tra Berlusconi e Fini siamo alle coltellate, a una guerra senza esclusione di colpi, in cui uno dei duellanti è destinato a soccombere. Lo scontro non è più in Parlamento, non rispetta le regole tradizionali. Le Camere sono destinate a fare da cassa di risonanza a un conflitto che si svolge in un’area più oscura e più torbida, fatta di dossier e di ricatti, dove tornano alla ribalta gli 007, le barbe finte, vere e presunte devianze dei Servizi.
I giornali della real casa berlusconiana hanno tirato fuori dall’arsenale quella che dovrebbe essere l’arma decisiva: un documento dal quale verrebbe confermato che dietro le società offshore che hanno acquistato la casa di Montecarlo c’è Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini. Lo stesso presidente della Camera, e i suoi uomini, hanno gridato che si tratta di un falso clamoroso, dietro il quale c’è la manina dei Servizi, e che quest’operazione di killeraggio è riconducibile al capo del governo. A questo punto, salta tutto, crolla l’ultimo ponticello che poteva tenere ancora vicini i due schieramenti. I finiani confermano che, a fine mese, voteranno comunque ancora a favore del governo, ma precisano che il giorno dopo si aprirà tutt’altra partita. E mandano un segnale preciso, bloccando le trattative sulla questione del lodo Alfano e dello scudo giudiziario per il premier. La vicenda, però, non può chiudersi su questo regolamento dei conti. E’ vero che su Berlusconi la questione etica non ha alcun peso. Ma la faccenda, questa volta, è troppo grave per risolverla con i soliti espedienti. Se risulterà che il documento è un falso, confezionato dagli amici del presidente del Consiglio, la macchina del fango colpirà chi l’ha messa in opera. Al contrario, se le cose dovessero risultare vere, sarebbe impossibile per Fini affermare ancora di “non sapere nulla “ e i contraccolpi politici metterebbero chiaramente in discussione la sua permanenza alla presidenza della Camera.
È, dunque, una partita per la sopravvivenza politica, che si avvia all’ultimo atto. Il Cavaliere è convinto di poterla vincere, di avere le condizioni favorevoli per mettere Fini alle corde e costringerlo a dimettersi. Si sente galvanizzato dal voto che ha “salvato” Cosentino, ritiene di avere una maggioranza autosufficiente anche senza i finiani, e ha preventivato un attacco senza soste al presidente della Camera, portandogli progressivamente via una parte dei deputati che hanno aderito al suo movimento. Gli strumenti non gli mancano, e del suo potere è solito fare uso senza alcuna remora. Ma non può pensare che la distruzione politica di Fini avvenga senza effetti devastanti per il centrodestra. Prima o dopo, il prezzo sarà la caduta del suo governo.
Sull’altro fronte, se non corre ai ripari, Fini è destinato a scontare le ambiguità che hanno condizionato le prime mosse del suo movimento. Sono apprezzabili alcune sue motivazioni, a cominciare dalle richieste su un punto decisivo come il rispetto della legalità, ma debbono essere portate alla loro logica conseguenza che non prevede la fittizia appartenenza allo stesso schieramento, la comunanza nel voto dettata da questioni tattiche. C’è di più: se i finiani hanno deciso di partire al contrattacco, per difendere il loro leader dal massacro mediatico, e rimproverano ora al premier l’uso dei Servizi di sicurezza, per distruggere il proprio avversario, alle parole non possono non fare seguire i fatti. Mettano dunque sul tavolo gli elementi di cui dispongono e ne informino, se ci sono le condizioni, la competente Procura della Repubblica. Quello che non possono fare è tenerle in serbo come possibile deterrente. La gravità della situazione non ammette più percorsi tortuosi. Siamo arrivati alla fine di un ciclo. Sempre più stufi della cattiva politica che l’ha dominato.
Cosa abbia fatto Fini della casa di Montecarlo sembra che non importi proprio a nessuno. Importa che il Fini, sia sgamato della sua ipocrisia, divenga la vittima di un duello zigano fra lui e Compar Alfio (Berlusconi).
Ciarliamo da decenni recriminando la perduta moralità pubblica e una faccenda così ridicola e sporca, quale la casa di Montecarlo (se vera), passa come un regolamento di conti fra due guappi. Mandiamo in galera fior di galantuomini solo per il sospetto di essere dei poco di buono e su questa faccenda monegasca ci lasciamo irretire dal tifo per il fine giocatore.
Le immagini parlano chiaro, Fini presiede e i suoi attachés (“fini dicitori”) ricevono ordini dal “calunniato presidente” per vendere cara la pelle come prezzo della congiura.
Bocchino è il più assiduo al soglio presidenziale, è la staffetta portaordini di Fini: pollice verso per la gogna, pollice ritto per la gloria.
Il Regolamento della Camera questa pinzillacchera non l’annota, la trascura sembrando ovvio che il presidente (SUPERPARTES) mai si sarebbe permesso di fare il tifo per l’uno o l’altro schieramento della Camera.
A norma di regolamento (quello ostentato da Mentana) non viola nessun articolo che possa farlo sembrare PARTIGIANO (oltretutto c’è la Costituzione, art. 67, che tutela ogni diritto del parlamentare): non so se kantianamente trattando di coscienza si possa dire altrettanto del comportamento del presidentissimo che capeggia la rivolta: un HEAUTONTIMOROUMENOS terenziano a Montecitorio.
Se fossimo in Chiesa, il sacerdote dall’altare avrebbe soggiunto: mistero della fede. Nel nostro caso i misteri sono parecchi (da Mirabello a Montecarlo a Santa Lucia) e non so quanto la fede possa contribuire a sgamarli. Ma si sa, sono dei falsi appositamente costruiti su ordine di Berlusconi. Chissà perché.
Celestino Ferraro
Il prezzo di questa indegna bagarre sta nell’inazione totale del governo a fronte dei gravissimi problemi del Paese, oltre al deterioramento dell’immagine paese. Un prezzo nemmeno misurabile.
LOGOMACHIA BOCCHINIANA
Le barbe finte si son sbizzarrite, da Saint Lucia confezionano dossier falsi per screditare quel “vir bonus” di Gianfranco colpito dall’ira funesta del prode Silvio.
I Bocchino, i Granata, i Della vedova & C. hanno fatto scudo e l’onta confezionata ad arte (uno tsunami dell’etica) dagli spioni s’è infranta sui villosi petti dei sodali finiani che, l’altro ieri, erano alfieri valorosi del duce d’Arcore.
Com’è volubile la natura umana, la passione è l’unico valore che la conduce, e foss’anche nel fuoco, ci s’immola orgogliosamente schiavi dell’ultimo delirio. In queste condizioni mai avremo una politica ideale generosamente spesa per la collettività. E se qualcuno rompe la regola, ecco che la storia se ne impadronisce per renderlo degno d’imperitura fama. Così forse per Platone, Cicerone, Machiavelli, Voltaire, Montesquieu, Hegel, eccetera (i contemporanei è meglio non citarli).
Parliamo evidentemente di 2500 anni di storia nei quali le vicende dell’umanità si son piagate al ferro rovente di molte tirannie. Oggi le cose non son cambiate di molto, sempre l’uomo è l’interprete principale della tragedia umana, le inimicizie e gli odi, gli amori e la fedeltà, i tradimenti e il delitto sono il canovaccio che rendono la storia un romanzo. Ma dipende sempre dalla penna di chi scrive a saper dare alle cose il giusto tono per far sembrare il romanzo diverso dagli altri, ma è sempre lo stesso romanzo.
Anche il dolore è sempre lo stesso. Ci s’immaginerebbe che dopo millenni il dolore fosse meno sensibile, meno dolente, meno sofferto, meno ansioso di vendetta, invece no, l’odio prevale e sta lì, moloch insaziabile che divora uomini e cose con un’ingordigia bulimica mai satolla.
Nel nostro caso, lo stesso personaggio che dal prence d’Arcore aveva gradito tutti gli onori del suo opaco cursus honorum, in un impulso d’odio ha morso la mano che lo accarezzava e si scaglia feroce per sbranare l’incauto che tanto gli giovò.
Vicende del travaglio umano, non diverse dalle tantissime che hanno inzaccherato il cammino dell’umanità: le viviamo noi come spettatori increduli di tanta acredine insita nella natura irriconoscente per chi la gratifica.
Questi sono gli ingredienti che autorizzano gli uomini a definire politica questo modo di gestire i rapporti fra gli uomini. Politica, l’abracadabra di tutte le tristitudini politicate.
Si disquisisce con aria studiata; si finge di non accorgerci che la parola “politica” è una metafora dietro la quale si cela la nostra mortificata incapacità di volare.
Celestino Ferraro
la battaglia tra berlusconi e fini mi ricorda lo scontro tra davide e golia , vedremo come finirà
“Ahi serva Italia,di dolore ostello,…”,che “bordello !”,
i
I suoi abitatori “se la vanno” veramente “cercando”.
…
“Che val perchè ti racconciasse il freno/Iustiniano se la sella è vota ?/ Sanz’esso fòra la vergogna meno.”.
Lo scontro in atto tra B. e fini è tutto interno al Pdl; ora stiamo ai fatti e non alle simpatie che possono solo distorcere e piegare i fatti stessi alle nostre convenienze, anche senza volerlo; B. è entrato in politica non per passione o per seminare il bene comune, bensì per sistemare le sue pendenze giudiziarie ed assicurarsi l’impunità, nella convinzione, una volta eletto premier, di essere legibus solutis; per questo fine, ha costruito un apparato mediatico che annulla, debilita ed annichilisce il senso critico di quelli che lui considera i suoi elettori, forniti a suo avviso di una intelligenza pari a quella di un dodicenne e circondandosi di giornalisti affidabili e fedeli esecutori dei suoi desiderata.
Si è avvalso dell’aiuto di Craxi per conservare le sue televisioni che trasmettevano, a torto o a ragione, in violazione della normativa sulle telecomunicazioni; per questo aiuto, craxi è stato da B. ripagato con i finanziamenti illeciti All iberian, oggetto di processo, conclusosi per B. con la prescrizione.
Ha con disinvoltura fatto strame, con la c.d. legge gasparri, della sentenza della corte costituzionale che imponeva a rete4 di trasmettere solo sul satellite.
Non si contano i procedimenti penali ai quali si è sottratto grazie alle leggi ad personam ed all’obnubilamento della massa critica dei suoi elettori pari a circa il 20% degli italiani, che gli hanno dato il consenso dopo una martellante propaganda mediatica basata su un presunto e mai dimostrato accanimento giudiziario nei suoi confronti perpetrato dalle c.d. toghe rosse di milano.
B. si autodefinisce l’unto del signore, questo potrebbe far solamente sorridere se non si aggiungessero altre sue caratteristiche che ne costituiscono la cifra e la modalità stessa di esercitare la politica, faccio qualche esempio, il cù cù con la Merkel, le corna duranti i summitt, le quotidiane barzellette sia a sfondo sessuale sia a sfondo razziale, propalate in ogni consesso con la tacita benevolenza anche delle donne che lo ascoltano e lo adorano per questo, il suo continuo ed incessante dire di essere il costruttore del partito dell’amore salvo poi operare ed instillare quotidianamente odio per il suo avversario politico; nel versante giudiziario si comporta né più né meno che come i bucanieri dell’isola della tortuga, solo che mentre questi erano autorizzati dalla regina e considerati per le loro imprese degni anche di onorificenze, il nostro agisce per mero tornaconto personale, poichè degli italiani onesti e probi lui se ne infischia; anche il suo rapporto con la democrazia e la costituzione è patologico, non sa cosa sia la divisione dei poteri, è convinto che il potere esecutivo costituisca, una volta conferito dal popolo, da solo l’usbergo che consenta la totale sottrazione da ogni controllo che non sia quello del popolo stesso; singolare concezione quella di B., va da sé che gli strumenti che ha usato ed usa B. nella vicenda della casa di montecarlo sono i tipici strumenti di colui che vuole distruggere chiunque esprima una opinione diversa dalla sua, in special modo nel settore della giustizia, tema che sta molto a cuore a B. stesso per le note ragioni; B. non risulta essere avvezzo se non alle adulazioni, ai sommessi gridolini di urrah dei suoi ammiratori, alle voci festanti dei giovani e delle giovani che lo acclamano a pagamento; Fini ha indubbiamente commesso degli errori, ma sono errori derivanti dalle incaute mosse dei suoi familiari, non riconducibili alla sua persona, almeno finché non venga provato il contrario e cioè finché la magistratura romana non si pronunci diversamente.
Ora i metodi berlusconiani li conosciamo tutti, salvo coloro che ancora si accaniscono a sognare e a credere che B. sia l’uomo del fare che con piglio manageriale riesce a risolvere tutti i loro problemi.
La storia politica di fini è nota a tutti, possono non convincere i suoi passaggi; peraltro risulta ormai conclamata la sua evoluzione da uomo politico della destra postfascista a quella di alfiere di una destra democratica, europea, liberale e legalitaria; questo modo di intendere la destra costituisce il punto di arrivo del suo percorso politico, che, per onestà intellettuale, per 15 anni si è accompagnato ad un’alleanza organica con B, del quale per fedeltà politica ha votato tutti o quasi i provvedimenti a lui favorevoli.
Ma da qui a dire che fini debba essere, solo per questo, eternamente grato a B. ce ne corre, poiché almeno in politica non esiste la fedeltà assoluta e totale al capo (il c.d. per sempre) e prova ne sia che i suoi colonnelli non lo hanno seguito nella nuova formazione politica e di ciò fini ne ha preso atto senza dover per questo considerarli traditori e di conseguenza distruggerne l’immagine politica, come invece B., uomo privo di etica, usualmente fa.
Ultimo e non ultimo, fini non risulta essere mai stato oggetto di procedimenti penali e pertanto ha pieno titolo, a differenza di B., per parlare di legalità e di rispetto del principio di eguaglianza.
I SERVIZI FINI
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
5 così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
10 orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Una stella cadente.
CF
Per schiarirci tutti quanti la memoria e capire perchè oggi l’Italia non è presa sul serio dalla stampa internazionale,occorre fare un ventennio circa di passi politici indietro tentando di capire anzitutto quali profonde radici antropologiche avesse nel Paese l’attitudine all’illegalità e di spiegarci di conseguenza il perchè gli italiani dopo il profondo marcio pubblico emerso tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta,hanno preferito in maggioranza affidare il futuro del Paese (perciò il loro) ad un personaggio dal discusso passato.
IL SOLERTE CORRADINO (chiosa a tambur battente)
Stupefacente l’ottimo Corradino, non s’è perduto una battuta, tutto oro colato. Non un dubbio ha sfiorato l’acuto chiosatore e Fini ha subito la sua fanfara (di Corradino). Un politico onesto, da trent’anni mai sfiorato nemmeno da un avviso di garanzia. (Ma non ha mai partecipato al potere, era inseguito come i topi fascisti fin nelle fogne).
“Tremenda pena il sapere se non giova a chi sa”: è il cieco Tiresia che sollecitato dal Edipo, ammonisce il re di essere più cauto nel pretendere la verità. (come dice il prof. Sartori, è stato un intervento molto cauto).
Fini ignora la verità: ingenuità o dolo?
“Se dovessi scoprire che Tulliani è il vero proprietario della casa di Montecarlo, mi dimetterei da presidente della Camera”. Così conclude candidamente, Fini, il suo intervento televisivo.
Pontoni, senatore Pontoni: a chi ha venduto l’appartamento di Montecarlo? Chi è stato l’acquirente? Chi le ha dato la somma pattuita per la vendita? (ma perché si è dimesso dall’incarico?) Una delega all’acquisto? Da parte di chi? Togliamoci dal groppone questo fardello. Faremmo un favore anche a Fini: non si può campare con questo assillante segreto. Coraggio! senatore Pontone, dia una mano a Fini. La darà anche al “popolo sovrano”.
CF
VAE VICTIS!
Sembrerebbe impossibile, eppure l’Italia è rimasta il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Capuleti e dei Montecchi, degli Orsini e dei Colonna, dei Medici e dei Pazzi. Oltre settecento anni ci separano dall’Alighieri fuggiasco fiorentino ma qui, da noi, nulla è cambiato: sia Toscana o Campania o Lombardia o Veneto la Regione da cui si fugge. Il potente di turno è sempre in agguato e guai a chi osa contrastarlo.
“Guerre più atroci delle civili sui campi d’Emazia cantiamo e il crimine divenuto diritto, e un popolo potente vòltosi con la destra vittoriosa contro le sue stesse viscere”.
(Bella per Emathios plus quam civilia campos, iusque datum sceleri canimus, populumque potentem in sua victrici conversum viscera dextra). È Marco Anneo Lucano, in “Pharsalia” – Bellum civile – .
I nemici erano Giulio Cesare e Gneo Pompeo, e a Farsalo (48 a.C.) si ebbe l’epilogo della tragedia. Lo stesso Dante, nella sua Divina Commedia, la cita spesso e da lì traiamo molte notizie della cruenta lotta che oppose i due superbi condottieri della superba Roma. Non c’è da sbagliarsi, lo sconfitto della battaglia di Farsalo sarà colui che non aveva ragione di scatenare la guerra civile, e non sarà il Fato ad averlo voluto, ma la forza del vincitore. L’epica perde il suo fascino poetico e si aggiunge alla volontà del più forte per il prevalere delle armi.
Cesare vince: è il più forte! Pompeo soccombe: qua sta la volontà del fato.
Non aveva nulla da rimproverarsi Pompeo, eroe e servitore fedele della Res Publica, fu soltanto il destino di ciascuno che disegnò il percorso della storia: e, con esso, la storia di Roma e dell’Umanità.
La causa del vincitore piacque agli dei, ma quella dei vinti a Catone.
Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni.
Con questo verso Lucano ricorda come non sia possibile dire con precisione dove stesse la ragione e dove il torto nelle guerre civili: se la causa del vincitore – quella di Cesare – fu favorita dagli dei, e quella perdente – di Pompeo – era stata strenuamente sostenuta da Catone l’Uticense, oppositore stoico al principato e tetragono alla tirannide.
Non sempre ciò che appare onesto agli uomini lo è anche per gli dei, e non è detto che chi vince sia dalla parte della giustizia o per esaltare chi rimane per tutta la vita fedele ai propri ideali, senza miserevoli compromessi.
Brenno, l’arrogante capo dei Galli, coniò la migliore sentenza per quelli che il destino elegge a perdenti: “Vae victis!” … e gettò lo spadone nel piatto dei pesi che pesava l’aureo riscatto.
Sarà sempre così.
Celestino Ferraro