Andreotti, che pena

10 Set 2010

Nel 1984 il repubblicano Giovanni Ferrara, durante un discorso al Senato, sottolineò un particolare della vicenda che aveva visto schierati su due fronti opposti Andreotti filo Sindona e Giorgio Ambrosoli

Andreotti, Ambrosoli. Che pena, che disgusto il senatore a vita e quelle parole sgorgategli dal profondo a sigillare una vita passata all’insegna del fare accordi con tutti, soprattutto i peggiori, per non aver grane: dalla politica estera a quella interna, dalla Sicilia a Villa Wanda, dal Vaticano a Palazzo Chigi.

Il 30 ottobre del 1984 in uno degli interventi più belli mai pronunciati nel Senato italiano, il repubblicano Giovanni Ferrara, sottolineò un particolare della vicenda che aveva visto schierati su due fronti opposti Andreotti filo Sindona  e Giorgio Ambrosoli.

Trascrivo dal resoconto stenografico dopo la citazione del diario di Andreotti che, dice il senatore Ferrara “mostra delle lacune, come tutti i diari, come i commentari di Giulio Cesare, il diario di Talleyrand o la storia scritta da Churchill. Ad esempio, nel diario di Andreotti vi è una strana lacuna: evidentemente egli non segnava gli avvenimenti più importanti della giornata, vi era una certa casualità e questo può capitare a tutti. Il 12 luglio ad esempio è completamente dedicato, penso con una certa soddisfazione dei colleghi comunisti, almeno per questa parte, ad un lungo incontro con il presidente della Tanzania, Nyerere, per il problema della solidarietà con le popolazioni locali; poi si parla dell’Uganda di Obote, dei programmi di cooperazione tecnico-economica, ossia del grande problema del Terzo Mondo in relazione all’ Europa e all’Italia. Ma il 12 luglio 1979 è anche il giorno in cui, durante la notte, è stato assassinato l’avvocato Giorgio Ambrosoli, e nel diario non vi è una parola in proposito; chiaramente si tratta di un caso”. Del resto, che importanza poteva avere anche allora per Giulio Andreotti, l’uccisione di un servitore dello Stato (che se l’era andata a cercare)?

Alla fine del dibattito fu Franco Evangelisti ad affrontare Ferrara e a riferirgli un miscuglio di proteste e minacce. Giovanni sorrise e respinse entrambe col suo sguardo mite e fermo.

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