Divorziati in casa

06 Set 2010

Non si capisce se Gianfranco Fini abbia offerto a Silvio Berlusconi un patto di legislatura, o aperto la campagna elettorale. L’impressione è che abbia fatto le due cose insieme. La scelta di rimanere nel centrodestra è netta; e anche la disponibilità a dare a Berlusconi uno scudo contro qualche tentazione di scorciatoia giudiziaria. Ma detta le proprie condizioni come «terzo alleato» accanto al partito del presidente del Consiglio e alla Lega di Umberto Bossi. Per questo le incognite sul futuro del governo e della legislatura rimangono intatte.

Bisogna capire se la maggioranza riuscirà a sopportare una metamorfosi così traumatica, o si spezzerà ai primi appuntamenti parlamentari. Formalmente, Palazzo Chigi non può etichettare il discorso di ieri a Mirabello come una rottura. Non c’è neppure la nascita ufficiale del partito di Futuro e libertà. Pesano però la dichiarazione di morte del Pdl, che a detta di Fini «non c’è più»; un giudizio demolitorio e velenoso sul berlusconismo; e un cenno alla riforma elettorale che fa pensare a governi diversi dall’attuale. In altri tempi sarebbe bastato per la scomunica. Ma la cronaca recente dimostra che la fase «padronale» del Pdl è finita.

Anzi, se Fini ieri ha potuto ribadire i suoi attacchi al Cavaliere, deve almeno in parte ringraziare la campagna di cui è stato oggetto e che tendeva a riaffermare forzatamente il primato del Cavaliere. Operazione impossibile, di fronte a una destra finiana che sembra ormai avere interiorizzato l’antiberlusconismo. Gli applausi più potenti sono arrivati nei passaggi nei quali Fini ha attaccato il premier. Il partito in incubazione di Futuro e Libertà si considera portatore di valori e metodi alternativi a quelli del Pdl, definito ripetutamente «una Forza Italia allargata».

Non esce dal centrodestra soprattutto per incalzarlo, modificarne la strategia, e alla fine sostituirne la leadership. Il riconoscimento del primato berlusconiano è d’ufficio. Fini polemizza e insieme lancia segnali al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e a una Lega evocata con toni agrodolci. Il Pdl è trattato invece come una realtà dalla quale la terza carica dello Stato vuole emanciparsi al più presto: forse perché gli ricorda troppo l’errore politico che sente di avere commesso consegnando An a Berlusconi; e le frustrazioni accumulate negli ultimi due anni.

Probabilmente Fini si rende conto che archiviando la forza che ha contribuito a fondare, e rivestendo i panni del leader di parte, piccona anche il proprio ruolo di presidente della Camera. Ma nelle convulsioni della maggioranza le anomalie tendono a diventare normalità. Per questo l’ipotesi che il governo possa andare avanti rimane una possibilità: sebbene l’offerta del patto di legislatura, per come è stata confezionata, rischi di rivelarsi non l’occasione per una ricucitura vera ma l’ultima spallata tattica a una coalizione che non ritrova il baricentro.Fini ieri ha potuto ribadire i suoi attacchi al Cavaliere, deve almeno in parte ringraziare la campagna di cui è stato oggetto e che tendeva a riaffermare forzatamente il primato del Cavaliere. Operazione impossibile, di fronte a una destra finiana che sembra ormai avere interiorizzato l’antiberlusconismo. Gli applausi più potenti sono arrivati nei passaggi nei quali Fini ha attaccato il premier. Il partito in incubazione di Futuro e Libertà si considera portatore di valori e metodi alternativi a quelli del Pdl, definito ripetutamente «una Forza Italia allargata».

Non esce dal centrodestra soprattutto per incalzarlo, modificarne la strategia, e alla fine sostituirne la leadership. Il riconoscimento del primato berlusconiano è d’ufficio. Fini polemizza e insieme lancia segnali al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e a una Lega evocata con toni agrodolci. Il Pdl è trattato invece come una realtà dalla quale la terza carica dello Stato vuole emanciparsi al più presto: forse perché gli ricorda troppo l’errore politico che sente di avere commesso consegnando An a Berlusconi; e le frustrazioni accumulate negli ultimi due anni.
ndo la forza che ha contribuito a fondare, e rivestendo i panni del leader di parte, piccona anche il proprio ruolo di presidente della Camera. Ma nelle convulsioni della maggioranza le anomalie tendono a diventare normalità. Per questo l’ipotesi che il governo possa andare avanti rimane una possibilità: sebbene l’offerta del patto di legislatura, per come è stata confezionata, rischi di rivelarsi non l’occasione per una ricucitura vera ma l’ultima spallata tattica a una coalizione che non ritrova il baricentro.

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