Come cambiare la legge elettorale

31 Ago 2010

Restituire al popolo la sua sovranità cambiando la legge elettorale. L´intento è nobile e positivo, anche se francamente eccessivo. Definire che cosa sia propriamente la sovranità popolare, in sistemi in cui le decisioni importanti attinenti all´economia, alla politica e alla vita sociale appartengono a gruppi ristretti (e lasciamo da parte la questione se ciò sia o non sia un portato inevitabile delle società attuali) e il ruolo delle masse popolari è in misura prevalente – pur con lodevoli eccezioni come quelle rappresentate da noi ad esempio delle «primarie» – di assistere dagli schermi televisivi ai dibattiti tra i decisori della politica e dell´economia, è un´impresa davvero ardua. Ciò nonostante, la legittimazione essenzialmente passiva che i cittadini sono chiamati periodicamente a dare ai partiti e agli individui che competono per il loro consenso presenta pur sempre diversi gradi di passività. Questa può manifestarsi nel semplice prendere o lasciare quanto confezionato dalle oligarchie dei partiti oppure nello stabilire dei limiti al diktat; limiti che consistono nel recuperare margini di scelta rispetto ai candidati proposti. Esempio puro del primo caso è quanto disposto dalla legge elettorale vigente, già definita «una porcata» da chi la fece approvare, ma che ora Bossi e Berlusconi considerano ottima e non intendono cambiare; esempio del secondo è una diversa legge, ora richiesta con forza da Bersani e dagli altri leader dell´opposizione.
Bersani ha dunque chiamato a raccolta le varie componenti dell´opposizione per porre fine al berlusconismo e far approvare dal Parlamento una riforma elettorale. Ma – ecco l´interrogativo – secondo quali modelli? Ritorno al Mattarellum, adozione dell´uninominale a un solo o a doppio turno, sistema tedesco proporzionale con lo sbarramento al 5 per cento?
Due ci paiono le considerazioni essenziali da farsi. La prima riguarda la netta superiorità che acquisisce la parte che si presenti con una proposta univoca. Se all´interno delle opposizioni la proposta di riforma – che naturalmente a seconda del tipo ha differenti implicazioni di grande importanza sulla formazione degli schieramenti, delle maggioranze e del governo – dovesse provocare non risolti contrasti, la conseguenza sarebbe il complessivo indebolimento della battaglia comune. La seconda è che la campagna per la riforma abbisogna dell´energico sostegno all´azione condotta dai partiti degli elettori che si sentono umiliati dalla «legge porcata» e di una loro vigorosa mobilitazione. Gli umiliati e persino furibondi tutto possono sopportare meno che lo spettacolo offerto da uno scontro di modelli il quale comunichi la deleteria impressione che, mentre Bossi e Berlusconi restano fermi e coerenti nella difesa dell´esistente, dall´altro versante si sviluppano diatribe inconcludenti.
Il rischio che l´astensionismo elettorale, alimentato da correnti qualunquistiche che speculino sulla diffusa «stanchezza per la politica», cresca pericolosamente non va sottovalutato; e non va sottovalutato anzitutto dall´opposizione. I coriacei sostenitori dell´attuale tandem di potere costituiscono un corpo ostentatamente insensibile ai guasti portati alle istituzioni, alla Costituzione, alle prevaricazioni nei confronti della legalità e dei diritti degli elettori. È principalmente nel centrosinistra che stanno gli offesi, i disgustati, i disorientati e anche gli stanchi. È tra questi che – in assenza della capacità dei partiti che invocano il cambiamento di saper non solo aprire un fronte di protesta ma anche offrire soluzioni efficaci stabilendo un comun denominatore riformatore e mettendo in opera tutto il possibile per modificare la legge elettorale – può crescere la rivolta dei delusi inducendoli a non recarsi alle urne o a deporre scheda bianca.
È ben chiaro che la scelta di una legge elettorale o di un´altra ha dirette conseguenze anche sulla cruciale questione del bipolarismo o del multipolarismo. La situazione dei partiti italiani è tale da aver ormai dato una risposta assai difficilmente contestabile circa l´assenza nel nostro paese di condizioni che consentano di far poggiare il bipolarismo sul bipartitismo. Sennonché è risultato altresì vano finora il tentativo di creare un bipolarismo basato su due coalizioni stabili. Da un lato è entrato in una crisi organica, che non è ancora dato capire quali esiti sia destinata a produrre ma palesemente in pieno svolgimento, lo schieramento di centrodestra; dall´altro lo schieramento formato da Pd, Idv, Sinistra vendoliana e altre componenti minori, è tenuto insieme da ciò che nega ma è poco unito o decisamente diviso nelle strategie da seguire e nelle proposte di leadership; inoltre tra i due si frappone un centro dalle molte ambizioni ma dal volto incerto circa le forze che possano in esso raggrupparsi.
Se la battaglia contro la Lega e il Pdl dei berlusconiani dovesse essere condotta senza aver compiuto – scontato l´inevitabile e giusto lasso di tempo per la discussione – scelte condivise relativamente al modello di riforma elettorale, al nodo del bipolarismo o tripolarismo e all´indicazione dei leader, allora essa risulterebbe gravemente indebolita, alimentando la stanchezza e la sfiducia di cui sopra parlavo. Inutile aggiungere che la responsabilità prima dell´agire con determinazione e limpidezza spetta al Pd, chiamato ora più che mai a dare prova di sé, a partire dal mettere ordine nelle controversie quali quelle, e non sono le sole, che oppongono la Bindi a Veltroni e il giovane Renzi ai «vecchi» che questi vorrebbe vedere in pensione una volta per tutte.

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