Bersani, Veltroni, D’Alema: il Pd e la crisi

30 Ago 2010

Finite le vacanze, il clima politico che ci troviamo davanti è più incattivito che mai. E lo snodo cruciale, quello da cui dipenderà ogni sviluppo successivo, è quale sbocco dare alla probabile crisi del governo Berlusconi.

Finite le vacanze, il clima politico che ci troviamo davanti è più incattivito che mai. E lo snodo cruciale, quello da cui dipenderà ogni sviluppo successivo, è quale sbocco dare alla probabile crisi del governo Berlusconi. Anzi, perfino la crisi dipende dalle prospettive che si apriranno, perché è evidente che i finiani terranno duro se avranno di fronte un percorso praticabile, mentre potrebbero cedere alle sirene del Cavaliere se percepissero di non avere un futuro. E’ qui che si gioca tutto.

Bersani sembra averlo capito. Infatti la sua proposta, contenuta nella lettera inviata alla Repubblica, cerca di disegnare un orizzonte che offra spazio a tutte le forze che vogliono archiviare il berlusconismo. Se ne possono criticare i contenuti e anche il linguaggio, ma non si può negare che proprio questa potrebbe essere  la formula per uscire dalla stretta: tutti quelli che vogliono ricostruire in Italia una democrazia degna di questo nome devono concordarne modi e forme, così da essere co-fondatori del futuro, all’interno del quale poi si ricreeranno nuovi equilibri tra le diverse forze politiche. Insomma, quasi un nuovo patto democratico, che non investe la Costituzione, ma riguarda il senso del dovere pubblico e la coscienza civile dell’intero paese.

L’urgenza di un simile patto è avvertita già non solo a sinistra, ma anche nelle formazioni di Casini e Rutelli e nella neonata creatura finiana. Cosa ne ostacola dunque la realizzazione? Risposta facile: le persistenti rivalità fratricide che continuano a dilaniare il Pd. Vediamo.

Se si aprisse la crisi di governo, il presidente della Repubblica avrebbe il dovere costituzionale di aprire le consultazioni per verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa oppure la ricucitura di quella che c’è. Bisognerebbe dunque che i gruppi di opposizione e i finiani dichiarassero la loro disponibilità a sostenere un nuovo governo. Ma perché questo possa accadere è necessario che si siano già individuate le linee base di un programma condiviso. E va da sé che il nocciolo di questo programma dovrebbe essere la legge elettorale. E qui arrivano i guai. Quale legge elettorale? A sinistra lo scontro ha già assunto contorni personalistico-ideologici. Veltroni è tornato in campo per rilanciare un sistema maggioritario e tendenzialmente bipartitico. D’Alema ha ribattuto schierandosi per il proporzionale alla tedesca. E così il Pd è tornato a dividersi, col rischio di pregiudicare seriamente la possibilità di fuoriuscire dal berlusconismo.

Entrambi hanno le loro ragioni. Il maggioritario, sostenuto da fior di intellettuali nell’appello pubblicato dal Corriere della Sera; questi  hanno ragione nel dire che questo sistema favorisce la governabilità e dà al cittadino elettore la possibilità di scegliere con chiarezza il governo. Ma il proporzionale alla tedesca, cioè con lo sbarramento al 5 per cento e la sfiducia costruttiva, ha il non trascurabile pregio di piacere a finiani e centristi (e di non dispiacere alla Lega), indispensabili per dar vita al governo che dovrebbe sostituire l’attuale. In conclusione: il sistema maggioritario può forse essere più gradito agli italiani, ma il sistema tedesco è quello che ha più possibilità di coagulare un maggioranza nell’attuale Parlamento.

Tuttavia, un governo che nascesse dalle ceneri dell’attuale, e quindi in un clima arroventato che i cannoni mediatici di Berlusconi provvederebbero ad alimentare quotidianamente, avrebbe scarse possibilità di portare a termine una riforma complessa, come sarebbero sia quella veltroniana che quella dalemiana. Dovrebbe far presto e bene, per poter andare alle elezioni col nuovo sistema nella prossima primavera. La soluzione più facile, allora, potrebbe essere quella che Libertà e Giustizia ha già proposto: tornare al Mattarellum.

Ora: il Mattarellum è tutt’altro che perfetto. Obbliga ad alleanze forzose, che si sfasciano alla prima occasione. D’Alema ha ricordato, e con ragione, che il proliferare dei partitini ha toccato il suo punto massimo proprio con quel meccanismo elettorale. Tuttavia ha il vantaggio di essere già pronto: basta abolire il calderoliano Porcellum per tornare automaticamente al sistema precedente. Semmai si potrebbe pensare ad un piccolissimo ritocco: stabilire che il parlamentare che abbandona il gruppo in cui è stato eletto non porta con sé la dote costituita dalla sua quota di rimborso elettorale. Si può star certi che in questo modo i flussi e riflussi che trasformavano le Camere in un magma ribollente verrebbero drasticamente ridotti. Non è il massimo, ma così si può voltar pagina rapidamente. E poi, quando un nuovo contesto politico si sarà stabilizzato, si potrà tornare a ragionare di una riforma elettorale più compiuta.

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