“Il Presidente della Camera è eletto per l’intera legislatura. Una volta accettato l’incarico è indifferente alla maggioranza che lo ha eletto. Una volta insediatosi, cioè, si rompe il cordone ombelicale con il corpo elettorale. Non vi è dunque nessun obbligo da parte del presidente della Camera di rispondere di eventuali fratture politiche. Questo è il principio base di quell’alto incarico”. Andrea Manzella, costituzionalista, scioglie il nodo di quest’ultimo scontro istituzionale. “È la prima volta nei sistemi democratici occidentali che un capo di governo chiede pubblicamente le dimissioni del Presidente della Camera – spiega ancora Manzella – È anche la prima volta che la seconda carica dello Stato, cioè il presidente del Senato Renato Schifani si unisce alla richiesta e che per giunta, il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi rincari la dose prestando il fianco alla polemica: siamo alla bagarre istituzionale”. Lo scontro istituzionale è usato come estensione della crisi tutta interna al Pdl. Maurizio Lupi, ai microfoni di Radio Anch’io, propone gli esempi di Pertini e quello di Saragat a sostegno delle dimissioni. Ma i precedenti non sono accostabili al caso di Gianfranco Fini. È sempre l’ex senatore Ds manzella a spiegare perché: “Sandro Pertini si dimise due volte da presidente della Camera. La prima nel ’69 dopo il fallimento del Psu, partito nel quale era stato eletto, la seconda nel 1975 dopo una polemica di Ugo La Malfa contro gli sprechi dell’amministrazione della Camera: ma in entrambe i casi i deputati respinsero all’unanimità le dimissioni. E in entrambe i casi le dimissioni furono comunque il risultato della sensibilità del presidente. Il fatto stesso che la Camera per due volte abbia dichiarato inammissibile il gesto è semmai un precedente a favore di Fini e cioè a favore del fatto che deve rimanere al suo posto”.
Quanto al caso Sargat, lì “c’era un patto ben chiaro”. Giuseppe Saragat si dimise da presidente dell’Assemblea costituente quando a gennaio del 1947 nacque il Psdi, il Partito socialista dei lavoratori italiani (successivamente Partito Socialista democratico italiano). Il patto, dice Manzella “era che il governo dell’assemblea costituente doveva essere guidato dalla forza politica che non stava al governo del paese, proprio perché si doveva trovare l’accordo sui principi, si doveva scrivere la Costituzione. Toccò dunque a un socialcomunista quale Saragat era, perché al governo c’erano i democristiani. Ha rassegnato le dimissioni da Presidente dell’Assemblea Costituente perché ha assunto la Segreteria politica del nuovo Partito e al suo posto subentrò Umberto Terracini”.
Non esistono altri precedenti. I casi di Giovanni Gronchi, ancora una volta di Pertini, di Oscar Luigi Scalfaro, eletti al Quirinale dal seggio più alto di Montecitorio rientrano in un discorso diverso. Così come quello di Giovanni Leone, che lasciò la presidenza della Camera per guidare il governo.
ottima idea, e tempestiva, quella di chieder lumi a manzella, un vero commis d’état, meglio: un vero e insospettabile servitore dello stato. ma che ne può sapere il cav.? probabilmente non sa neanche chi sia manzella. brava olga!
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quando frequentavo le scuole medie, fine anni 50 del secolo scorso, e poi il Liceo, primi anni 60, tra i testi da studiare vi era quello di Educazione Civica. Lì si trovavono espressi con parole chiare e semplici il funzionamento della democrazia, i ruoli dei diversi organi e delle diverse cariche istituzionali.
Mi fa effetto che, oggi, dobbiamo “scomodare” un costituzionalista per essere informati su nozioni basilari e elementari della vita repubblicana. Questo la dice lunga sulla fertilità del terreno in cui la ‘propaganda’ berlusconiana opera, in cui inevitabilmente non conta la attendibilità di ciò che si dice, ma la forza mediatica di chi dice.
Pertanto, le precisazioni di Manzella, e di altri autorevoli come lui che sicuramente – e giustamente, ci mancherebbe altro – faranno chiarezza su questo aspetto, cadranno nel vuoto e saranno ascoltate solo da chi già sa o è onestamente pronto a sapere.
Con questo amaro commento non voglio tuttavia invitare all’inazione. Tutt’altro.
Non amo Fini, per la sua storia, vecchia e recente.
Ma se terrà duro, avrà la mia simpatia. Nè ha il diritto e il prof. Manzella smentisce le fandonie propalate sulle dimissioni di altri presidenti.
L’unico aspetto positivo in questa triste vicenda è che ha messo a nudo la fragilità che legava una coalizione politica, sedicente, destinata a scrivere la storia del prossimo millennio.
Alcune certezze esibite ora lo sono assai meno. Il caso vuole che interessi divergenti fra leaders ex alleati incrini la prospettiva del millennio annunciato.
Non si può non essere d’accordo con Manzella.
Berlusconi e i suoi sono “eversori”, poichè non
c’è giorno che non tentino di scardinare la Costituzione e la legalità.
Propongo che LeG chieda una presa di posizione a tutti i giuristi che hanno fatto parte della Corte Costituzionale. Cordialità.A.V.
Non si pretendono le dimissioni del dr. Fini per imperio costituzionale, le si chiedono prché è Fini che ha rotto il principio del “super partes” immischiandosi in vicende legislative alle quali avrebbe dovuto essere assolutamente estraneo. Ha voluto interferire nel collocare i pesi e ha così scombussolato l’equilibrio della bilancia.
Le dimissioni non sono previste dalla Costituzione: verissimo!
Ma non è nemmeno proibito. Se la carica di SPEAKER gli è d’impaccio nelle MANOVRE politiche che progetta, ha il dovere di dimettersi. A prescindere che la fiducia della maggioranza non gli è più solidale. Non lo farà? Peggio per lui, per le Istituzioni, esposte al ludibrio di un gioco al massacro per sostenere l’arrivismo dell’uno o dell’altro.
Certo, fa comodo ai Bersani servirsi del Fini per abbattere Berlusconi, è nella strategia delle vicende politiche, ma non si tenti di camuffare la cosa sotto l’alone costituzionale.
Celestino Ferraro
Che Fini rimanga lì o se ne vada (difficilino, eh!), francamente…
Sai che differenza per i milioni di disoccupati, pensionati al minimo, lavoratori sfruttati da questa banda di sanguisughe.
Massì, metteteci un bel Capezzone, le matte risate!
Almeno affondiamo ridendo, meglio dei passeggeri del Titanic, che si limitavano a ballare.
Opps! Forse non andava detto “sanguisughe”.
Le sanguisughe potrebbero offendersi e la Feder-sanguisughe decidere di querelarmi per diffamazione…
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PROFEZIE SPICCIOLE
Un’intesa programmatica potrebbe essere raggiunta facilmente su molti temi, dall’economia, nella quale il governo ha fatto generalmente bene, al federalismo, al Sud. Lo scoglio difficilmente superabile sarebbe costituito dalla giustizia. La saggezza suggerirebbe di accantonare leggi ad personam e tentazioni di condizionare la stampa, come per la sciagurata legge sulle intercettazioni, e rimettere al primo posto le questioni essenziali per la crescita e per la stabilità. Le esigenze dei cittadini prima, anche in tema di giustizia, specialmente civile. Nuove e più convincenti risposte richiede quella vasta base elettorale, costituita dal ceto medio, piccole imprese, professionisti e autonomi, in particolare del Nord, che mal sopporta il pessimo spettacolo, tra comitati d’affari e improbabili ministri, degli ultimi mesi. Quale grande occasione per segnare un punto di svolta in una legislatura disgraziata e riprendere un po’ di quello spirito liberale finito troppo presto alle ortiche. Ci illudiamo? Forse, ma il Paese viene prima.
Ferruccio de Bortoli
08 agosto 2010
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Nella smania di apparire profeti compiaciuti delle nostre elucubrazioni, ci lanciamo nella mischia profetistica e azzardiamo le nostre previsioni presumendo che quelle deduzioni siano le più ovvie a dare sostegno alla strategia berlusconiana.
Non ci assale nemmeno per un attimo il dubbio che stiamo lanciando il cuore oltre la siepe e che a saltare deve essere il cavallo se non vogliamo capitombolare nel fossato pieno d’acqua. Il cavallo è, ovviamente, il Cavaliere, purosangue di consumata destrezza: egli sa come saltar la siepe.
Le considerazioni sulla giustizia e sulle leggi ad personam che avrebbero dovuto favorire il Cavaliere nelle sue “scorribande corsare”, sono il pretesto che impedirebbe ai piddi di accettare democraticamente la volontà popolare che li priva dal potere per esaurimento di quell’ideale di sinistra che non ha nient’altro da proporre al popolo lavoratore.
Coalizzarsi con fuoriusciti e traditori, con apostati insensibili alla volontà popolare, è segno di tracotanza che non tien conto dell’evoluzione dei tempi e della necessità di adeguare la propria ideologia alle necessità quotidiane della società lavoratrice. Né si rende conto, l’opposizione di sinistra, che la volontà popolare è maturata con il prolungarsi dell’età e il buonsenso ispira più dello stimolo della giovanile temerarietà. Al di là della naturale ripulsa per ogni forma di tradimento che verrebbe premiato col trasformismo.
Così stanno le cose, non è possibile arzigogolare su ipotesi fantasiose che potrebbero darla vinta al trasformismo legittimato dall’Art. 67 della Costituzione, purtroppo … (andrebbe subito riformato).
E non perché si preferisca un parlamentare succubo della leadership partitica, ma rispettoso dell’ideale che ha sciorinato al popolo sovrano quando gli ha chiesto di eleggerlo delegato: “Pacta sunt servanda”.
Il Parlamento non è mica il banchetto dove s’imbrogliano le tre tavolette.
Celestino Ferraro
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