Le ragioni di politica e giustizia

30 Lug 2010

Sono venti anni, più o meno dai tempi di Tangentopoli, che i rapporti fra la magistratura e la politica non riescono a funzionare.

I politici sono invisi ai magistrati (e ai cittadini) anche perché, come anguille, riescono quasi sempre a sgusciare via, sottraendosi all’azione della giustizia. Se leggete i libri di Marco Travaglio quel che vi colpisce di più non è quanti politici abbiano avuto problemi con la giustizia, ma quanti politici siano riusciti a risolvere brillantemente i loro problemi giudiziari, e non già perché risultati innocenti bensì grazie a immunità, prescrizioni, leggi ad hoc, ricandidature. Io ho smesso di leggerli, i libri di Travaglio, tanta è la nausea che mi suscitavano queste storie di impunità.

Da parte loro i magistrati sono invisi ai politici perché, come zanzare, infastidiscono senza tregua il corso della politica. Non c’è anno, né mese, né settimana, in cui un qualche politico o amministratore, nazionale o locale, grande o minuscolo, non incappi in un’indagine giudiziaria. Il corso della politica, in Italia, è punteggiato quasi quotidianamente da vicende giudiziarie, che interferiscono con il suo normale corso, e qualche volta lo deviano pesantemente. Le forze politiche non esitano a usare le vicende giudiziarie per delegittimare gli avversari, e anche la lotta interna ai partiti fa un uso spregiudicato delle indiscrezioni provenienti dalle inchieste.

Gli ultimi anni e mesi non hanno fatto eccezione. Se ci limitiamo ai personaggi più noti finiti nelle inchieste, oltre al solito Berlusconi, possiamo ricordare – in ordine alfabetico – Antonio Bassolino, Guido Bertolaso, Italo Bocchino, Aldo Brancher, Nicola Cosentino, Totò Cuffaro, Flavio Del Bono, Vincenzo De Luca, Ottaviano Del Turco, Claudio Scajola, Denis Verdini. Sono i primi nomi che mi vengono in mente, e come si vede ce n’è per la destra, per il centro e per la sinistra.

Di fronte a questo stillicidio, che si ripete incessantemente da vent’anni, una parte della casta – specie a destra, ma non solo – invoca il proprio sacrosanto diritto di fare politica al riparo dalle zanzare della magistratura. Un’altra parte, specie a sinistra, usa invece la magistratura come arma politica, chiedendo le dimissioni (o la non candidatura) dei politici indagati ogni volta che a cascare nella rete è uno degli avversari. Quanto alla furia giustizialista, per cui basta essere indagati per dover fare un passo indietro, essa svolazza dove il vento dell’opportunità politica la porta: Di Pietro era intransigente, ma ha cessato di esserlo quando gli è convenuto (alle ultime regionali l’Italia dei valori ha sostenuto Vincenzo De Luca, nonostante fosse rinviato a giudizio per vari reati); Fini e i finiani hanno digerito di tutto in passato, ma ora fanno i moralisti con il sottosegretario Giacomo Caliendo, esortato a dimettersi prima ancora di essere rinviato a giudizio.

E’ evidente che c’è qualcosa che non va. Finché l’azione dei magistrati viene usata strumentalmente per la lotta politica, non possiamo stupirci che qualcuno teorizzi l’indifferenza alle inchieste giudiziarie, il diritto della politica a non farsi commissariare dalla magistratura. D’altro canto, finché la politica non prende l’iniziativa e si decide una buona volta a fare pulizia al proprio interno senza aspettare le zanzare delle procure, è inevitabile che gli indagati siano percepiti – innanzitutto dall’opinione pubblica – più come probabili colpevoli che come presunti innocenti. Sono troppo numerosi i politici su cui emergono vicende inquietanti, sono troppo frequenti i casi in cui politici indagati riescono a farla franca solo grazie a ogni sorta di furbizie e protezioni.

Come si esce dalla spirale?

Qualcuno dice con regole ferree, che impongano ai politici indagati di fare un passo indietro, e ai partiti di non candidare politici indagati. Ma è una linea molto discutibile, perché presuppone l’infallibilità (e l’imparzialità) delle procure. Nella realtà effettuale, ossia nelle condizioni dell’Italia com’è e non come dovrebbe essere, significherebbe introdurre un’ennesima arma impropria nella lotta politica. L’automatismo delle dimissioni, anche se venisse spostato più avanti (ad esempio al momento del rinvio a giudizio), consegnerebbe la politica alla magistratura, un esito che una democrazia liberale dovrebbe fuggire come la peste.

Molto più ragionevole sarebbe che la politica si guadagnasse sul campo il diritto, quando lo ritiene giusto, di difendere le proprie scelte e i propri uomini dall’azione della magistratura. La magistratura non è infallibile, e forse non è sempre imparziale. Però anche la politica deve prendersi le sue responsabilità. Per potersi difendere senza essere percepita come una corporazione che si sente al di sopra della legge, occorrerebbe che la politica – prima di chiedere un passo indietro alla magistratura – facesse lei un passo avanti, e si occupasse di fare pulizia in casa propria senza aspettare che siano le procure della Repubblica a rivoltare i tappeti. Solo se prima avrà avuto il coraggio di liberarsi dei suoi uomini più disinvolti, indipendentemente dal fatto che abbiano commesso reati o «solo» scorrettezze, la politica potrà risultare credibile al momento di difendere un proprio uomo contro eventuali sbagli (o anche solo atti dovuti) della magistratura.

I casi in cui bisogna difendersi da errori o automatismi della magistratura ci sono, ma per farlo credibilmente i partiti debbono avere le carte in regola. Mi sono chiesto spesso perché un uomo come Bassolino, nonostante i suoi trascorsi amministrativi e giudiziari, abbia avuto vita politica così lunga nel Pd. Altrettanto sovente mi sono chiesto perché il Pdl e l’attuale governo siano rimasti ostinatamente indifferenti alla richiesta di arresto per il sottosegretario Nicola Cosentino, una richiesta per concorso esterno in associazione mafiosa confermata dalla Corte di Cassazione. Così mi sono chiesto, tante volte, perché l’Udc abbia sempre difeso a spada tratta Totò Cuffaro, ora condannato per mafia. Tutti errori giudiziari?

Non lo so. So però che se, a suo tempo, questi partiti avessero fatto scendere dai rispettivi carri un po’ di gente (questi o altri personaggi, non sta a me dirlo), oggi li prenderei più sul serio quando difendono qualche loro uomo finito nelle maglie delle procure.

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