Fini-Berlusconi: fiducia condizionata

30 Lug 2010

La guerra vera comincia adesso e c’è da aspettarsi che la pausa estiva servirà ad affilare le armi, con i finiani che studiano strategie, e Berlusconi che si dedicherà alla caccia all’uomo nel tentativo di sottrarre truppe all’avversario.

Fini non si dimette, e anzi rilancia, annunciando che i suoi nascituri gruppi parlamentari sosterranno il governo quando opererà nel solco del programma votato dagli elettori, ma lo contrasteranno se prenderà iniziative ingiuste o contrarie all’interesse generale. La guerra vera, dunque, comincia adesso, e c’è da aspettarsi che la pausa estiva servirà ad affilare le armi, con i finiani impegnati a studiare tattiche e strategie, e Berlusconi che si dedicherà alla caccia all’uomo nel tentativo di sottrarre truppe all’odiato avversario.

La prima disputa riguarda il diritto di Fini a restare presidente della Camera. E si spulciano i precedenti, per la verità assai scarsi. Chi fa il tifo per Fini tira in ballo il caso di Irene Pivetti, che rimase sullo scranno più alto di Montecitorio nonostante fosse stata espulsa dalla Lega per essersi dichiarata contraria alla secessione. Chi invece sta con Berlusconi, come Maurizio Lupi, cita le dimissioni di Pertini (che poi restò al suo posto dopo un nuovo voto di fiducia della Camera), o quelle di Saragat (che fu sostituito da Terracini) dalla presidenza dell’Assemblea costituente.

Sia il caso di Saragat che quello di Pertini sono però assai diversi dalla vicenda odierna. Furono sì motivati da ragioni politiche: Saragat lasciò dopo la scissione tra Psi e Psdi, Pertini dopo il fallimento della riunificazione di socialisti e socialdemocratici. Ma entrambi si dimisero di loro iniziativa e non perché qualcuno glielo avesse chiesto.

E qui sta il punto: la Costituzione non prevede la sfiducia al presidente della Camera. Regola la sua elezione, e basta. Inoltre, l’intera filosofia della Carta punta a salvaguardare l’autonomia del parlamentare, e a maggior ragione quella del presidente dell’Assemblea, rispetto ai possibili diktat dei capi partito. Questo è il senso del famoso articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

L’imbarbarimento politico dei nostri tempi ha seppellito questa civilissima norma sotto una montagna di retorica demagogica ed ingannatrice: “io ti ho eletto e io ti destituisco”, “hai tradito il mandato degli elettori”, e via delirando. Chi elegge qualcuno, elegge anche la sua libertà di pensiero, e il voto degli elettori non è uguale alla firma di un capitolato d’appalto, dove si specificano quanti mattoni e quali piastrelle, l’altezza dei soffitti e le dimensioni dei bagni. Il voto è una delega ad agire lungo alcune linee guida ma anche a reagire alle novità e alle emergenze che si potranno verificare nel corso del mandato. Alla fine del quale, poi, l’elettore giudicherà.

Fini, dunque è nel suo pieno diritto quando rifiuta di lasciare la Presidenza della Camera. Mentre non ha scuse la pretesa indecente di imporgli le dimissioni.

L’esempio di Irene Pivetti è più calzante, ma va detto che l’allora giovanissima presidente durò poco, perché Bossi ruppe con Berlusconi e si andò alle elezioni. E questo ci porta allo scenario più inquietante. Ricorda Gianfranco Pasquino intervistato da “La discussione”: “Mi auguro che non si ripeta un caso Staglieno. Nel 1995 i senatori della Lega erano soliti salutare il vicepresidente, ex leghista, Marcello Staglieno, passato al gruppo misto, con lunghi applausi ironici e manifestazioni plateali di dissenso…Se il Pdl scegliesse di adottare lo stesso atteggiamento nei confronti di Fini getterebbe discredito non solo sulla figura del presidente della Camera, terza carica dello stato, ma sulla istituzione stessa. Una nuova gazzarra sarebbe inaccettabile”.

La gazzarra però è proprio ciò che si profila all’orizzonte se Berlusconi volesse dar seguito alle peggiori minacce, come quella di disertare le conferenze dei capigruppo così da paralizzare i lavori parlamentari. Ma bisognerà vedere che cosa ne dirà Bossi, visto che un simile comportamento finirebbe per affondare il federalismo insieme a tutto il resto.

Di certo la guerra dei nervi finirà per logorare tutti, Fini compreso. Per ora il presidente della Camera cerca di mantenere un aplomb istituzionale: infatti ha risposto al Cavaliere con una dichiarazione letta di fronte ad una selva di microfoni e telecamere, ma si è sottratto ad ogni domanda. Bisogna vedere se, alla lunga, riuscirà a reggere l’urto della potenza mediatica berlusconiana. E’ impossibile, al momento, prevedere come finirà. L’unica cosa che ci si deve augurare è che non si consumi l’ennesimo strappo alla Costituzione: la Presidenza della Camera non è merce di scambio e non è roba per maggiordomi.

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