Dieci ore di resa dei conti. Tra i corridoi della Camera

30 Lug 2010

Bee-ep, bee-ep, bee-ep. bee-ep! E alla fine arriva il grande giorno della resa dei conti, con l’aria dei grandi eventi, il cicalino che suona per chiamare al voto i deputati, l’aula che ribolle, il giardino che si affolla di capannelli, e i grandi leader che sfilano come saette. Arriva il grande giorno della resa dei conti con i tamburi che rullano, i domatori che brandiscono cerchi di fuoco, e i finiani che se ne vanno dal Pdl, un popolo in diaspora, costretti a formare un nuovo gruppo da un documento che Silvio Berlusconi ha voluto duro, durissimo, spietato: sospensione per tre di loro (con in testa Italo Bocchino) e dura reprimenda per il presidente della Camera. Curiosa, la politica: il documento ancora non c’è, anzi, è in fase di scrittura, ma tutti ne parlano, tutti lo pesano, lo valutano.
I boatos dicono che fino all’ultimo le colombe dell’entourage hanno consigliato a Berlusconi di essere prudente o magnanimo. E che lui non ne ha voluto sapere: “Li voglio fuori!”. Ha vinto la linea dei falchi, come Giorgio Stracquadanio, l’uomo del Predellino, che ieri passeggiava per il Transatlantico serafico e ieratico: “Io a Berlusconi ho dato un solo consiglio: se vuoi che il centrodestra si salvi devi espellere il tumore dal corpo del Pdl”. Solo che i finiani resteranno nella maggioranza, numericamente pesanti, e quindi essenziali. Bocchino, che di tutta l’operazione è stato uno dei principali registi, arriva anche lui tranquillo, come se andasse ad una scampagnata tenendo per mano le due figlie: “Hanno voluto esserci, vengono in ufficio al gruppo”. Che cosa succede? “In realtà è semplice: se nel documento ci sarà una sola parola di censura per Fini noi faremo un nostro gruppo, autonomo, nel centrodestra, e – a parte la fiducia – contratteremo il nostro sostegno sui singoli temi”.
Un altro gruppo di maggioranza come la Lega o come l’Mpa di Lombardo. Ma al premier conviene? Non sono in pochi ad essere scettici su questo. Ad esempio Marcello De Angelis, uno dei cervelli della corrente alemanniana, uno che sta a metà fra i seguaci del presidente della Camera e gli ortodossi del Pdl: “Io non andrò a fare il gruppo – spiega – ma questa via disciplinare finisce per rafforzare Fini. Sono partiti con l’idea che nessuno lo avrebbe seguito, adesso c’è il dubbio che altri potrebbero seguirlo”.
E infatti, per tutto il pomeriggio ci si chiede se questa cronaca di una morte annunciata possa prevedere un altro copione, un colpo di scena. De Angelis aspetta novità da Niccolò Ghedini che fa la spola tra Berlusconi e l’aula. Parla anche Alessandra Mussolini, un’altra che resterebbe nel Pdl: “Per me Fini è la mamma e Berlusconi il papà. Però devo dire che questa divisione è una follia, ci indebolisce tutti”: Dà anche le percentuali, a La Zanzara: “La colpa è al 60% di Berlusconi e al 40 di Fini”. Su un divanetto c’è Enzo Raisi, un altro della lista nera. Gli chiedi se saranno davvero in trenta a seguire Fini. Lui si mette a battere l’appello sulla punta delle dita: “Io, Granata, Lo Presti, Barbareschi, Menia, che è amico di Fini e anche se ha dei dubbi ci sarà perché è una bella persona, Briguglio, Della Vedova…”. Ancora Bocchino: “Ci sono dei nomi che teniamo coperti: avrete delle sorprese”. Nel giardinetto Flavia Perina fumatrice accanita sospira: “Non capisco la vostra sorpresa. Ma capisco quella dei berlusconiani nello scoprire che ci sono persone che non sono politicamente in vendita. Abbiamo una cultura politica, sappiamo farla”.
Arriva Gianfranco Paglia, l’ex parà in sedia a rotelle: “Perché vado? Semplice, perché non è un tradimento: restiamo nella maggioranza”. Adolfo Urso, che parla su un divanetto ad Anna La Rosa: “L’unica sorpresa possibile è se ci sarà una conciliazione. Io tifo per una conciliazione”. Anche lui è pronto a fare il gruppo? Sorriso sornione: “Saremo in 35… Alla cena di Barbareschi questa sera”. Ci gioca su, il viceministro. Ma mica tanto: Berlusconi al compleanno di Rotondi, lui alla cena dei ribelli. E Raisi: “Ma perché tutti questi conti? Guardate chi sorride. Cioè noi”. Però c’è anche qualcun altro che sorride nel giardinetto. È Pier Ferdinando Casini, seduto su una panchina e circondato dai suoi. C’è Savino Pezzotta che inveisce contro Marchionne, c’è Angelo Sanza che dice, come se confessasse un peccatuccio: “Pier, ho fatto un comunicato pro Vendola…”. Casini li prende in giro: “Purtroppo, al contrario di Berlusconi, non ho più io i probiviri. Non vi posso espellere”. Ma ride sotto i baffi, Casini, perché la nascita del nuovo partito fa crescere il valore del suo gruppo parlamentare.
È vero che il premier ha incontrato i centristi con il mal di pancia: Tanoni, la Melchiorre, persino Villari. Ma questo piccolo calciomercato – e nel centrodestra lo sanno tutti – non tiene in piedi un governo. Allora glielo chiedi a Casini: “A novembre entrate nella maggioranza?”. Sorride: “Sei pazzo? A novembre facciamo il governissimo”. E intanto – bee-ep, bee-p – si vota, c’è da nominare Vietti al Csm, ed ecco anche lui, con la pochette in tasca, nel crocchio dell’Udc. Arriva Giancarlo Lehner, fedelissimo berlusconiano, e la butta lì: “Ragazzi, non avete capito nulla: questi qui, quando li cacciamo fuori, si dissolvono”.
Sarà. Ma se nasce un gruppo parlamentare di 33 persone, con quattro sottosegretari, un ministro e un presidente della Camera peserà eccome. Infatti persino Andrea Ronchi, titubante fino all’ultimo, ha messo la sua firma preventiva. Come restare nel Pdl se ci fossero provvedimenti disciplinari? Come abbandonare Fini? E come sopravvivere in un partito monarchico? Bocchino allarga le braccia: “In realtà è stata proprio questa tentazione monarchica a farci raccogliere consensi”. Il giorno vola, alle nove arriva il documento dei berlusconiani, si arriva alla resa dei conti con i falchi che vincono e le colombe azzurre che si domandano se alla fine il Cavaliere non abbia regalato un partito a Fini con un errore politico. Bee-ep, Bee-ep, bee-ep.

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