«Dopo un anno parole senza senso» Il vertice Pdl tiene la linea dura

29 Lug 2010

Si poteva davvero «resettare tutto»? Berlusconi avrebbe mai potuto accettare la mano che Fini gli ha teso in extremis, dopo aver «resistito ad attacchi e critiche»? L’intervista concessa al Foglio dal presidente della Camera ha dapprima colto di sorpresa lo stato maggiore del Pdl, a partire dal Cavaliere, che leggendo il testo ha commentato: «Queste non sono parole di Fini, questa è farina del sacco di Giuliano Ferrara». Poi comunque la mossa dell’ex leader di An è stata giudicata dal premier «tardiva, senza senso e difensiva». Perciò non pare intenzionato a voltarsi indietro, perché a suo modo di vedere l’ex leader di An ha già superato il punto di non ritorno. Un conto erano infatti i contrasti sulle questioni politiche, «lo stillicidio durato un anno», altra cosa è stato il salto di qualità che si è avuto quando l’inquilino di Montecitorio ha sollevato la questione morale, tema che solitamente segna in modo irrimediabile i rapporti politici.

Il Cavaliere l’ha vissuto come un affronto, «perché nessuno può fare il moralista, nè può ergersi a moralizzatore, nemmeno Fini». Ecco cosa divide i cofondatori del Pdl, ecco perché tutto si è complicato, sebbene ieri Gianni Letta abbia tentato di aprire un varco su un sentiero ormai ostruito. È il «giustizialismo» che separa Berlusconi da Fini, siccome — ha detto il Cavaliere in mattinata a un suo ospite — «questo cancro non appartiene al mio dna, né al dna del partito che voglio costruire. Ed èmia intenzione portare a compimento una battaglia per fare dell’Italia una democrazia liberale compiuta, non più prigioniera di una magistratura politicizzata».

Già in quelle ore Fini gli appariva distante, metabolizzato come «un avversario »: «Al contrario di lui non sono un professionista della politica. Potrei andarmene e lasciare le cose come stanno. Se resto è perché penso che non sia più tollerabile la situazione». È stato il preludio alle dichiarazioni pubbliche, all’annuncio che «nei prossimi tre anni libererò l’Italia dall’oppressione giudiziaria, legislativa, burocratica e fiscale». Rilanciando la stagione delle riforme costituzionali, a partire — guarda caso — dalla giustizia, il Cavaliere ha lanciato la sfida a Fini, e non solo a lui. Dietro la «tentazione» di ritirare il provvedimento sulle intercettazioni – «massacrato da tutti gli interventi che non restituiranno il diritto alla privacy agli italiani» – si celava un duro messaggio rivolto al Quirinale.

D’altronde Berlusconi si è convinto che la battaglia in cui le inchieste giudiziarie incrociano settori politici «che stanno dentro il centrodestra» è molto più violenta del passato. La decisione della Consulta di anticipare l’esame del legittimo impedimento è stata per lui la conferma. Come spiega Vizzini, «la Corte è un arbitro, perciò l’accelerazione sorprende. Perché dovrà essere esaminata una legge che ha una durata limitata, ed è il prologo di un intervento costituzionale. Vorrei sbagliarmi, ma se l’arbitro si prepara a fischiare il fuorigioco prima ancora che inizi l’azione, vuol dire che intende mettere intenzionalmente in fuorigioco il giocatore. Cioè Berlusconi».

Il Cavaliere sa che non c’è tempo per attivare lo «scudo» del lodo Alfano costituzionale e sa dunque di essere esposto nei processi a suo carico. Ogni escamotage in sede dibattimentale potrebbe rivelarsi un rischio che non può permettersi. Perciò servirebbe una nuova «legge ponte», a meno di non riesumare il processo breve, l’arma di fine mondo che giace alla Camera. La posta è alta, e in questa posta vanno considerati i pro e i contro dello showdown con Fini. Già ieri pomeriggio esponenti del governo facevano mostra di alcune paginette in cui il premier aveva stilato la road map, che comprendeva l’espulsione dal partito di Fini e dei suoi fedelissimi, oltre il ritiro delle deleghe ai ministri e sottosegretari vicini al presidente della Camera.

L’ex capo di An terrebbe di riserva l’opzione di fondare un nuovo partito, Destra Nazionale, ma intanto ha cercato di sparigliare il gioco. Al vertice del Pdl, riunito in serata dal Cavaliere, c’è chi ha spinto per chiudere subito il conto, chi ha evidenziato che —dopo l’appello di Fini al «patto con gli elettori» — sarebbe un errore espellerlo, «ne faremmo un martire». Così ha preso corpo una nuova soluzione, che poi è la vecchia idea di Berlusconi: accettare la mano destra del cofondatore, «che viene a Canossa», e amputare la sua mano sinistra, attivando «i «provvedimenti» contro i finiani per «incompatibilità». Ecco come il premier isolerebbe il presidente della Camera. Ma quali saranno i «provvedimenti»? Si arriverà all’espulsione? La sfida non è terminata. Mancano ancora delle mosse al finale di partita. La prossima è l’ufficio di presidenza del Pdl di stasera.

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