«Nelle carte solo poesie. Facevamo figuracce»

20 Lug 2010

«Che cosa vuole che le dica? Che se si fosse stati più coerenti in questa cosa, se mi avessero ascoltato prima… Anche perché le cose lì dentro, per me sono poesie, sono fantasie». Arcangelo Martino si sfoga con il giudice che l’interroga per rogatoria nel carcere di Napoli. È il terzo arrestato dell’inchiesta della Procura di Roma sulla presunta associazione segreta che avrebbe condizionato la vita politica e amministrativa italiana, con Flavio Carboni e Pasquale Lombardi. Nei verbali, il «consulente aziendale» Martino si definisce un uomo «vicino al Pdl» e, dice, frequentava la casa di Denis Verdini. Più che difendersi, Arcangelo Martino si rammarica: «Che cosa vuole che le dica? Che se si fosse stati più coerenti in questa cosa, se mi avessero ascoltato prima… Anche perché le cose lì dentro, per me sono poesie, sono fantasie», si sfoga con la giudice donna che l’interroga per rogatoria nel carcere di Napoli. Ex assessore socialista prima della bufera di Mani Pulite, coinvolto in inchieste, prosciolto o assolto tranne una condanna a tre anni di galera per concussione, oggi Martino fa il «consulente aziendale». E si definisce un uomo «vicino al Pdl», in Campania e a Roma, dove si recava a casa del coordinatore nazionale Denis Verdini: «Forse pago questo prezzo qua— si lamenta —, io sono una persona vicina al Pdl, mi occupo di supporto, di iniziative, di riforme legislative…». È il terzo arrestato dell’«operazione Insider», l’inchiesta della Procura di Roma sulla presunta associazione segreta che avrebbe condizionato la vita politica e amministrativa italiana, con Flavio Carboni e Pasquale Lombardi. Li ha conosciuti attraverso i convegni, spiega. Il primo si svolse all’hotel Majestic di Roma: «Dopo ci fu questa cena conviviale, e ci siamo scambiati i numeri telefonici. “Ah, che piacere vederla”, “Mi fa piacere conoscerci!”, “Veniamo ai convegni!”, “Anche noi veniamo ai convegni!”. Da quell’occasione ci sono state, poi, delle telefonate tra di noi, ma telefonate così, niente di particolare».

«Non dissi quelle cose su Caldoro»

Gli inquirenti romani la pensano diversamente, eMartino a volte nega perfino i colloqui in cui sono trascritte le proprie parole. Come a proposito della campagna di delegittimazione dell’aspirante candidato governatore in Campania Caldoro: «Non credo che io abbia parlato di queste cose. Poi sono fatti personali, a me non interessa quali sono le preferenze e gli orientamenti sessuali di questi qua. Si figuri un poco». Il candidato ideale del centro-destra, secondo Martino, era l’industriale Giovanni Lettieri. Quanto a Caldoro, «è amico mio, abbiamo militato nello stesso partito per oltre quindici anni. È un ottimo politico, ma lo ritengo una persona leggermente debole per affrontare problemi».

Per questo s’era schierato con Cosentino, il sottosegretario all’Economia che voleva correre per la carica di governatore e per il quale s’è spesa la presunta associazione segreta? «Io non ho mai caldeggiato… Io mi lasciavo nel dubbio, per verificare che cosa facesse la candidatura Cosentino. È politicamente bravo, lo confermo». Però ci sono le telefonate con Flavio Carboni, in cui si parla proprio del sottosegretario (inquisito per camorra, con una richiesta d’arresto negata dalla Camera). Martino minimizza: «Con Carboni si è instaurata questa riflessione durante il convegno, e parlando delle condizioni di Napoli, spazzatura, disfunzioni, disservizi e così via, ci vorrebbe una candidatura autorevole…». Anche l’interessamento in Cassazione per le questioni giudiziarie di Cosentino — tramite Pasquale Lombardi, il «ministro della Giustizia» fra i tre arrestati, quello che teneva rapporti coi giudici — non fu altro che «un fatto ovvio, visto che uno è sotto processo da due anni e non fa il processo». «Io mi occupo di politica» La giudice obietta che «avvicinare i giudici» non sembra tanto ovvio, e Martino ribatte: «Dottoressa, l’ovvietà non è quella di avvicinare i giudici, ma una persona che è indagata, che è sotto processo da due anni e il processo non si fa mai per vedere se uno è colpevole o innocente, mi pare che non sia giusto». «Questi sono temi politici di cui non ci dobbiamo occupare», replica la giudice, ma il detenuto insiste: «Io mi occupo di politica!», finché la giudice taglia corto: «Sì, ma non in questa sede!». Dall’inchiesta emerge pure che Martino e Lombardi sollecitavano informazioni (sempre sulla causa Cosentino) dal presidente della Cassazione dell’epoca, Vincenzo Carbone, e l’inquisito spiega: «Poiché li ho visti ai convegni insieme, allora confidando su questa conoscenza dicevo: “Io vado a prendere informazioni sotto il profilo procedurale”. Erano delle informazioni, un chiacchiericcio… Se lei somma due anni di conversazioni, ci sono poesie! Dottoressa, i danni che mi hanno fatto questi qua, lei manco li può calcolar, guardi!».

Per tutti gli arrestati, i convegni organizzati dall’associazione «Diritti e Libertà», di cui Lombardi è l’anima, erano innocenti occasioni di scambio intellettuale, mentre secondo l’accusa rappresentavano il paravento dietro il quale tessere rapporti e relazioni che il «gruppo di potere occulto» sfruttava (o tentava di sfruttare) al momento opportuno. Così, se il presidente della corte d’appello di Milano, Alfonso Marra, nelle telefonate di Lombardi a Martino diventa «l’amico nostro che ho fatto nominare», la giustificazione di Martino è che «io Marra l’ho visto nei convegni fatti a Roma, stava là. Scusi, ma quelli stavano centocinquanta magistrati! Lei va ai convegni dottoressa?». «No, per fortuna no — risponde la giudice— non mi invitano». E Martino: «Questo è un guaio che, perché persone autorevoli ed intelligenti dovrebbero partecipare alla vita culturale del Paese».

Per Martino, che Marra andasse omeno a Milano non era rilevante, ma dalle conversazioni intercettate s’intuisce qualcosa di diverso. E lui sbotta: «Ahimé, purtroppo finisco in questo casino per venti telefonate, due anni e mezzo inutili! Perché ho partecipato ai convegni sono finito così! Io vorrei dare un po’ di problemi miei a questi signori qua!».

«Formigoni è un amico»

A parte gli incontri a casa di Verdini con Dell’Utri (che lui non nega di conoscere), la giudice contesta aMartino i colloqui con Roberto Formigoni, il governatore della Lombardia col quale discutevano a proposito dell’esclusione della sua lista alle ultime elezioni regionali. Parlando in maniera piuttosto chiara — secondo l’accusa — di interventi sulla corte d’appello milanese per farla riammettere; e successivamente per sollecitare un’ispezione ministeriale sui magistrati che avevano confermato l’esclusione.

«Formigoni è amico mio — risponde l’ex socialista oggi del Pdl —, del partito, è una persona seria, che stimo tanto…». E a proposito dell’esclusione dalle elezioni: «Era una porcheria che stavano facendo». La giudice prova a leggere le telefonate: «Formigoni la chiama e dice…». «Mò non mi chiamerà più», l’interrompe sconsolato Martino, che sul tentativo d’ispezione quasi s’inalbera: «L’avevano chiesta loro, non io! Io che chiedo l’ispezione, e che sono, il capo dello Stato?».

Il suo amico Lombardi col quale passava ore e ore al telefono, secondo quel che ne riferisce oggi, «per me era e resta un megalomane… Prima di Natale l’ho pregato vivamente di non avere più rapporti con me, perché non mi piaceva questa megalomania…». Martino sostiene di non aver avuto alcun interesse nella manovra di avvicinamento ai giudici della Corte costituzionale che dovevano pronunciarsi sul «lodo Alfano» che bloccava i processi a Silvio Berlusconi. Anche se poi Lombardi dice a Martino: « Amm’ fatt’ ’na figur’ ’e merda! ». «Con chi?», chiede il giudice. «Non lo so», risponde Martino. Che in un’altra conversazione ripete la stessa espressione dopo il fallimento dell’intervento alla corte d’appello di Milano. E oggi utilizza quelle metafore come arma di difesa: «E dove sta la consistenza di questa forza? Se sono tutte figure di merda, scusi, dov’è il potere di questa associazione? È un’assemblea di figure di merda, scusi l’espressione…».

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