Parco Sud, quel padiglione en plein air che farebbe bene a Milano

19 Lug 2010

Uno straordinario patrimonio naturalistico e storico da tutelare al quale il Pgt assegna indici di edificazione. Con 130 imprese agricole e 3 mila ettari coltivati, questo parco che abbraccia 62 comuni, si estende su 45 mila ettari e conta ben 1.400 aziende, fa di Milano il secondo comune agricolo d’Italia

Lo scorso anno (Repubblica, 27 aprile 2009) si diede spazio alla proposta di Battisti e Deganello per un Expo diffuso, non rinchiuso nel recinto espositivo, che reimpiegasse strutture esistenti senza consumare aree libere. Che si diluisse nella città rivitalizzandola per (almeno) sei mesi. Che lasciasse in eredità spazi pubblici, alberghi low cost e magari residenze universitarie.
Pareva un ragionamento di buon senso, ma non è stato preso in considerazione.
Oggi registriamo il ritardo della M5 e soprattutto della M4, anche se il recente PGT, sconnesso dalla realtà, rilancia con una circle line e ben 10 linee di metropolitana. Assistiamo allo spegnersi di Ecopass, mentre TEM e Brebemi si preparano a portare nuovo traffico alle soglie della città. Vediamo apparire, e sparire, un fantascientifico tunnel urbano. E prendiamo atto che le suggestive Vie di terra e d’acqua sono ormai sepolte, o naufragate, a seconda del caso.
Non si ragiona sul tema di Expo 2015, ma si baruffa sulla governance e sui tagli di bilancio. La querelle è ora rivolta alle modalità e ai costi per acquisire le aree e per attrezzare il sito espositivo: ulteriore testimonianza che è il lato “fisico” di Expo, quello che davvero interessa.
E allora chiediamoci: è opportuno, di questi tempi, e a questo punto, spendere qualche centinaio di milioni di euro (pubblici) per “valorizzare” aree libere in gran parte di proprietà privata? Le grandi serre bioclimatiche (250 anni dopo Kew Gardens, in piena era internet), e l’orto globale, saranno sufficienti per attirare 20 milioni di visitatori? Chi assicurerà l’equilibrio economico di tali strutture, una volta terminato l’evento?
La risposta è sempre la solita: serve più sobrietà.
Va preso atto (Repubblica, 18 luglio 2010) che le risorse e soprattutto i tempi disponibili già impongono una (ulteriore) riduzione di scala del progetto. E suggeriscono l’adozione, almeno in parte, di un diverso modello espositivo: vediamola come un’opportunità.
L’Italia è conosciuta nel mondo per la bontà e la varietà dei suoi prodotti agro-alimentari.
La Lombardia, a sua volta, è la prima regione agricola in termini economici (15% del totale nazionale) e occupazionali (70 mila strutture, 200 mila lavoratori, indotto compreso). Ogni città o paese ha un “suo” prodotto: insaccati e formaggi dalla pianura fino agli alpeggi montani, riso nel pavese, vini in Franciacorta, in Valtellina e nell’Oltrepò, olio e limoni sul Garda e via elencando. Prodotti di grande qualità: 26 Dop e Igp, 228 tradizionali, 15 vini Doc e 4 Docg.
Milano, capitale nazionale della finanza, è il secondo comune agricolo d’Italia, con 130 imprese agricole e 3 mila ettari coltivati nel cuore del Parco Agricolo Sud, che abbraccia 62 comuni, si estende su 45 mila ettari e conta ben 1.400 aziende, di cui oltre 300 allevamenti.
Un Parco occupato da svincoli autostradali e da inguardabili lottizzazioni, ma anche da splendide abbazie (Mirasole, Chiaravalle, Viboldone), castelli (Melegnano, Rocca Brivio, Bussero, Cusago), ville e cascine. Che è luogo di svago e di educazione alla natura per centinaia di migliaia di persone, oltre che insostituibile polmone ecologico.
A questo straordinario patrimonio, da tutelare senza tentennamenti, il nuovo PGT di Milano prospetta di assegnare (regalare, sarebbe meglio dire) indici di edificazione da trasferire nella città, senza neppure la giustificazione di un credibile progetto di parco (e neppure di città). Nessuno, al di là della retorica, pare interessato a cogliere l’opportunità di Expo per fare del sud Milano un paradigma dell’agricoltura metropolitana europea del XXI secolo, chiamata a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione, dell’evoluzione demografica e sociale, della caduta dei redditi agricoli (da integrare con l’ospitalità, la ristorazione, l’educazione naturalistica), delle nuove domande del mercato (salubrità, qualità, tracciabilità, filiera corta, vendita diretta) e della fornitura di beni e servizi pubblici.
In altri termini: più che accanirsi sulle serre di Rho-Pero, bisognerebbe realizzare un moderno padiglione virtuale, en plein air e a basso costo nel sud Milano. E ripetere poi questa operazione in altri territori della Lombardia (e del Paese), affinché possano esporre la propria identità, fatta di prodotti, di paesaggio e di cultura, nella vetrina planetaria di Expo.
Si avrebbe anche il vantaggio di attivare un’offerta sicuramente più attrattiva per i 20 milioni di persone attese tra 5 anni. E di consentire a noi di guardare a Expo, e al suo lascito, con maggiore ottimismo.

Stefano Pareglio, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, siede nel consiglio di presidenza di LeG

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