Il ritorno del figliol prodigo

12 Lug 2010

Il progetto di riaccogliere nel Pdl Casini è sfumato, complice l’ira di Bossi. Ma Silvio berlusconi non ha ancora rinunciato al proposito anche se sulla sua scrivania si accumulano le pratiche bollenti. E di tutte, solo il caso Brancher pare sia chiuso.

Il piano doveva essere stato studiato nei particolari. Da tempo, Berlusconi aveva in programma, come spettacolo principale, il “ritorno del figliol prodigo”, vale a dire, riaprire la porta di casa a Pierferdinando Casini, riaccoglierlo nell’alleanza di centrodestra. E gli era stata promessa, a questo scopo, anche la partecipazione straordinaria del cardinal Bertone, Segretario di Stato vaticano. Ma poi la recita, sulla terrazza di Bruno Vespa, si è rivelata improvvisata. Non è stata una cosa seria. Bossi l’ha stroncata, appena calato il sipario. Ponendo un impietoso aut-aut: “O la Lega o Casini; se si apre una crisi di governo, si va alle elezioni”. E il presunto partner dell’operazione, il segretario dell’Udc, si è sentito obbligato a mettere i suoi paletti: i centristi non sono disposti a fare da stampella, ma sono disponibili solo per un governo di “responsabilità nazionale”, aperto a tutti. Un’ipotesi che fa venire l’orticaria al Cavaliere perché, in questi casi, a scegliere il capo dell’esecutivo è il presidente della Repubblica, e si sa come si comincia, ma non si sa come si finisce.

Non è che Berlusconi abbia definitivamente rinunciato al suo progetto. Anzi, i fedelissimi sono corsi a spalleggiarlo. Ma, decisamente, questo non è un momento fortunato per il Cavaliere. Delle pratiche che si sono accumulate sul suo tavolo, è riuscito a sbrigarne solo una, il caso Brancher. Ma a prezzo di una penosa rinuncia, di una poco onorevole ritirata. Per restare ai torbidi intrecci tra politica e affari, ai patti scandalosi tentati sulla pelle delle istituzioni, di soluzione assai più difficile si presenta il caso Verdini, il coordinatore del Pdl , coinvolto in tre inchieste, una sugli appalti eolici in Sardegna, l’altra sugli appalti legati ai Grandi Eventi a Firenze, e, infine, la più devastante, quella per l’accusa di “associazione segreta” assieme a Flavio Carbone, che mette in serio imbarazzo il partito e ha aperto un nuovo fronte di conflitto tra i seguaci di Fini e la maggioranza berlusconiana..

L’eroico “ghe pensi mi”, proclamato da Berlusconi, a questo punto ha un suono grottesco, si è trasformato in una tragicomica dichiarazione d’impotenza. L’ombra degli scandali si allunga ogni giorno che passa. Nulla nel Pdl sta più al suo posto, perchè il partito di maggioranza è in subbuglio, diviso in mille fazioni, con un capo che si sente travolto dalle difficoltà e ha la paura d’essere giunto alla fine della sua parabola. C’è una manovra economica che vede crescere i focolai di conflitto. C’è l’irrisolto rapporto con Fini, verso il quale i progetti di compromesso, caldeggiati dalle “colombe” del centrodestra, si alternano con la rabbiosa volontà berlusconiana di arrivare al regolamento dei conti. C’è la questione con Tremonti e la Lega che è la più difficile, quella che, in questa fase, preoccupa il premier ancor più del contrasto col presidente della Camera. Il Cavaliere si sente stretto nella morsa dell’alleanza tra il ministro dell’Economia e Bossi. Sulla manovra ha dovuto accettare la dura ricetta di Tremonti che si è imposto come garante della stabilità economica, trovando una sponda nel leader del Carroccio. L’apertura a Casini doveva servire proprio a questo: non solo a bloccare Fini, ma a ridurre il peso della Lega, a rendere meno soffocante l’abbraccio del “senatur” Il punto è che Bossi lo ha anticipato, sparigliando i giochi.

Anche i sondaggi, tanto cari al premier, non gli danno più una mano. Oggi lo vedono in progressivo calo. Una condizione insopportabile per un uomo che ha fatto della popolarità il solo metro di giudizio della sua politica. Servirebbe, in questo momento, un presidente del Consiglio capace di riequilibrare la situazione e di fare una sintesi. Ma per Berlusconi vale solo la mistica del potere, esercitato senza regole e senza contrappesi. Ciò spiega la sua impazienza, la sua diffidenza, la voglia di rovesciare il tavolo che sente sfuggirgli. E la tentazione, che rimerge, di giocare la carta estrema, quella delle elezioni, anticipate alla primavera del 2011. Sarebbe l’ennesimo referendum sulla sua persona, per spazzare via avversari e alleati riottosi. Ma il grande bluff può funzionare ancora? Oggi la sacralità del leader non sembra più un dogma. Berlusconi appare quasi un premier “commissariato”, posto sotto tutela. L’icona di un successo invecchiato. Che appartiene a un’altra epoca.

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