Il Pd regala uno scudo al capo dello Stato

06 Lug 2010

La preoccupazione principale, enunciata dal senatore Pd Stefano Ceccanti, era quella di dotare il Capo dello Stato di uno scudo “ampio” e a suo modo “diverso” da quello che il Lodo Alfano cosiddetto “costituzionalizzato” riserva al Presidente del Consiglio. Uno scudo che lo sganciasse, anche, da una eventuale “pressione politica” da parte della maggioranza di governo. Il risultato individuato e messo agli atti con l’emendamento “1.5” presentato in commissione Affari Costituzionali del Senato, a firma sua e degli altri esponenti Democratici (Adamo, Bastico, Bianco, Della Monica, De Sena, Incostante, Mauro Maria Marino, Sanna, Vitali e Casson) afferma, però, senza mezzi termini: “Al di fuori dei casi previsti dall’articolo   90 della Costituzione, il Presidente della Repubblica, durante il suo mandato non può essere perseguito per violazioni alla legge pena-le”. Durante il settennato, l’inquilino del Colle può dunque macchiarsi delle peggiori nefandezze, escluso l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione (che sono quelli espressamente previsti dall’articolo 90 della Costituzione), senza dar conto a nessuno. Come è possibile?    Per Ceccanti quello individuato era l’unico modo per evitare che il Presidente della Repubblica potesse essere messo sotto processo dalla maggioranza parlamentare. Perchè, spiega, l’articolo 1 del testo Alfano presentato al Senato dal Pdl (e riprodotto nella scheda qui sotto), permetteva proprio questo. Dava cioè la possibilità al Parlamento, in seduta congiunta, di dare il via libera ad eventuali inchieste della magistratura sul Presidente della Repubblica in carica.    Ceccanti la spiega così la stortura alla quale si può andare incontro mantenendo il testo della maggioranza: “Se un magistrato politicizzato decidesse di aprire un’inchiesta su Napolitano, basterebbe un voto del Pdl in Parlamento a mettere in mora il Presidente della Repubblica, e non possiamo permettere una impropria relazione fiduciaria tra il garante delle istituzioni e le forze politiche”. Una preoccupazione   che, seppur non appaia prossima, potrebbe essere anche giudicata legittima: ma perchè dire che il Presidente non può essere processato tout court? Non bastava fare un emendamento che prevedesse una “maggioranza qualificata” invece che una maggioranza semplice di modo da bloccare il potere di impeachment da parte di una singola fazione politica?    Per Ceccanti l’emendamento del Pd taglia, in qualche modo, la testa al toro, sganciando “la figura di garanzia del Presidente dalla partita politica”.      Felice Casson, anche lui firmatario del documento Pd, chiarisce che l’emendamento è parte di una strategia più complessa di “riduzione del danno” in una materia delicata: “Abbiamo presentato anche emendamenti soppressivi, e quelli sulle maggioranze qualificate. Se questi ultimi fossero accolti saremmo i primi a non presentare quello che allarga la tutela del Presidente della Repubblica”. Il problema, ribaltiamo, si porrebbe se l’emendamento del Pd fosse invece accolto. “Capisco il rischio – ribatte – ma la discussione procede per gradi, è in itinere, ed è ancora lunga. Del resto – obietta – è ovvia la nostra   contrarietà al Lodo Alfano”. Certo, ammette, tra le fila dei Democratici, ci sono posizioni anche molto diverse, e non sono in pochi, ad esempio, a volere anche il ritorno dell’immunità parlamentare per deputati e senatori. Contrarissimi, al lodo ma anche all’emendamento “blinda-Colle” del Pd, sono il senatore Democratico Gerardo D’Ambrosio, e Francesco Pancho Pardi che siede, unico esponente dell’Idv, in commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. “Ma che stiamo scherzando? – esclama il primo – È una cosa da matti. Stiamo perdendo il senso della misura”. E    articola: “Non riesco a capire perchè si decida di    emendare un testo del    genere. Ma non riesco    neanche a comprendere perchè il Capo dello    Stato debba essere giustificato   dal compiere o dall’aver compiuto dei reati di natura penale. L’inquilino del Colle   ha già tutte le garanzie proprie del ruolo. Alla Presidenza della Repubblica, inoltre, deve andare un uomo specchiato, eccellente, non chi può aver commesso reati e deve fuggire dalle condanne. La più alta carica dello Stato non può avere processi pendenti”.    Spiega, ancora, che se il problema è rappresentato da una “magistratura politicizzata” che inquisisce il Capo dello Stato per fini di parte, “non si procede a blindare il Presidente ma a ricercare le responsabilità o anche a riformare la magistratura”. D’Ambrosio, d’altronde, è sulla linea della “inemendabilità” di testi come quello sul Lodo Alfano che ora è all’attenzione del Senato (il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione è scaduto il 23 giugno). Annuncia che parlerà al collega Ceccanti, così come ha già fatto anche Pardi:   “Li ho messi sull’avviso – afferma l’esponente dell’Idv – Perchè a me appare chiaro il pericolo che al Colle possa finirci anche Silvio Berlusconi. E allora che si fa? Ho scritto più volte a Ceccanti per avvertirlo del pericolo. Mi pare una sottovalutazione del problema assai simile a quella che portò Massimo D’Alema, all’epoca, a non fare la legge sul conflitto di interessi”. Dal Quirinale nessun commento ufficiale. Nessuna conoscenza del provvedimento.

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