L’altro bavaglio, sms dal lager nel deserto: noi innocenti, non fateci morire

Voci dall’inferno. Un appello disperato, una angosciante richiesta di aiuto. Non ascoltarla significa essere complici dei carnefici. Poche righe che danno conto di una situazione drammatica. Quella dei 200 eritrei deportati nel lager di Brak, nel sud della Libia. «Signore, signori, questo messaggio di disperazione proviene da 200 eritrei che stanno morendo nel deserto del Sahara, in Libia. Siamo colpiti da malattie contagiose, la tortura è una pratica comune e, quel che è peggio, siamo rinchiusi in celle sotterranee dove la temperatura supera i 40°. Stiamo soffrendo e morendo. Questi profughi innocenti stanno perdendo la speranza e rischiano la morte. Perché dovremmo morire nel deserto dopo essere fuggiti dal nostro Paese dove venivamo torturati e uccisi? Vi preghiamo di far sapere al mondo che non vogliamo morire qui e che siamo allo stremo. Vogliamo un luogo di accoglienza più sicuro. Vi preghiamo di inoltrare questo messaggio alle organizzazioni umanitarie interessate».

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