Dieci motivi per dire no secondo Piero Grasso

02 Lug 2010

Il procuratore antimafia in commissione Giustizia alla Camera snocciola il suo decalogo anti ddl Alfano. Una raffica di osservazioni che pesano come macigni. “Il testo va chiarito. I 75 giorni sospetti di incostituzionalità”.

Non esistono trascrizioni. L’audizione del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso in Commissione Giustizia alla Camera “è informale”, spiegano dagli uffici di Montecitorio. Ma sulla base degli appunti, 20 pagine dattiloscritte e di quanto riportato dai giornali è possibile ricostruire i punti deboli della legge elencati in una sorta di decalogo. In due sedute, il 30 giugno e il primo luglio, davanti ai parlamentari il procuratore ha spiegato perché il ddl Alfano non può funzionare.

L’allarme è subito detto: così come è stata scritta, questa legge non dà più garanzie che per mafia e terrorismo si potrà intercettare senza limitazioni.

“Si deve chiaramente dire – spiega Grasso – che i requisiti richiesti per i reati ordinari non si devono considerare come presupposti per i reati di mafia. Basta poco per chiarirlo. Così come è, il dubbio può rimanere. E siccome si fanno i processi e poi si arriva in Cassazione e magari ti danno un’interpretazione del genere, basta chiarirlo per non fare del lavoro inutile”.

Non solo: “Talune modifiche hanno peggiorato alcuni aspetti”. Aspetti come la durata prefissata di 75 giorni, “termini iugulatori… una previsione irrazionale, immotivata e soggetta a rilievi di incostituzionalità”.

Ma ecco i dieci principali difetti della legge.

I dieci punti che proprio non vanno: dalla sostituzione del pm indagato (che rischia di innescare una serie di denunce strumentali) al tribunale collegiale che comporterà “enormi difficoltà organizzative”, alla questione dei tabulati, che oggi si acquisiscono con semplice routine e domani sarà un procedimento complicato, al problema interpretativo dei “gravi indizi di reato” che ora non si capisce più, dopo le ultime modifiche del Senato, se le condizioni stabilite per i reati ordinari valgono anche per mafia e terrorismo, all’invio di “tutti” gli atti d’indagine dalle procure ai tribunali del capoluogo, il che significa un traffico immane di faldoni ogni 15 giorni ed è “utopia”.

Infine la questione poco raccontata dello “stralcio”, che significa mantenere segreta una intercettazione quando ha fatto scoprire un nuovo reato e dato il via a una nuova inchiesta: la legge ora vieterebbe di effettuare stralci, cioè tenere segreto alcunché, e quindi si regalerebbe all’indagato la notizia che è sotto indagine. Ma Piero Grasso individua anche un altro problema non da poco: se in sede di udienza preliminare o di dibattimento si formula in maniera differente un reato, le intercettazioni non sono più utilizzabili, perché autorizzate per altro fatto. “Sarebbe gravemente minata l’efficacia dell’azione investigativa e processuale”. Una raffica di osservazioni che pesano come macigni.

  1. L’ipotesi di astensione del giudice e la sostituzione del pm indagato presenta due punti critici, perché prevede che il procuratore della Repubblica riceva informazioni dal Capo dell’ufficio che sta indagando, con una anomala violazione del segreto d’ufficio che, in alcuni casi, potrebbe essere causa a sua volta deleteria per l’attività d’indagine; e poi ricollega alla semplice iscrizione nel registro degli indagati, che è atto dovuto a seguito, per esempio della denunzia di una delle parti, la sostituzione del pm, con effetti gravissimi sull’andamento del processo. Facile immaginare il succedersi di denunzie strumentali per ottenere la sostituzione del pm che sta facendo il processo e che di solito è l’unico che lo conosce bene, nei casi più difficili e delicati a cominciare da quelli di mafia e terrorismo. Peraltro, la previsione è incongrua perché le notizie “segrete” non sono mai in possesso solo del m, ma anche di molte altre persone (polizia giudiziaria, consulenti, personale amministrativo, persone informate sui fatti ecc.) per cui le cosiddette fughe di notizie possono essere responsabilità di soggetti diversi dal magistrato.
  2. Innanzitutto, una serie di condizioni assai rigide per l’effettuazione di intercettazioni e videoriprese e per l’acquisizione di tabulati di traffico telefonico e telematico. Queste condizioni valgono, a differenza che nel testo precedente approvato dalal Camera, anche per i reati di mafia e terrorismo, la cui disciplina verrebbe così notevolemnte modificata (in peius) rispetto alla situazione attuale. Tali modifiche avranno un effetto gravissimo in senso negativo sulle relative indagini che subiranno una forte limitazione. Questo effetto sarà ulteriormente aggravato dal fatto che le stesse condizioni valgono, ovviamente per tutti gli altri reati, compresi i cosiddetti reati spia (ovvero usura, estorsione e riciclaggio).
  3. La nuova norma equipara la disciplina dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico e delle videoriprese a quella delle intercettazioni di conversazioni nonostante le profonde differenze e la ben diversa invasività tra i due strumenti d’indagine. La decisione di richiedere l’autorizzazione del Tribunale collegiale, inoltre, non tiene conto della realtà delle cose e cioè dell’altissima frequenza con cui è necessario ricorrere a tale strumento e dell’assoluta urgenza con cui è necessario provvedervi nell’attuale situazione di una società caratterizzata dall’uso delle telecomunicazioni. Tanto è vero che appena qualche anno fa il legislatore aveva dovuto correggere la norma precedente che prevedeva sempre l’intervento del Gip e attribuire al Pm il potere di acquisire i tabulati se relativi solo agli ultimi due anni.
  4. Rischiano di diventare inutilizzabili (secondo un’interpretazione più che plausibile) tutte le riprese fatte dalle telecamere disseminate, con grandi spese, proprio per ragioni di sicurezza, nelle nostre città, qualunque sia la condotta delittuosa, anche gravissima, che dovesse venire registrata. Inoltre, richiedere l’autorizzazione giudiziale anche per tali attività rappresenta un obiettivo fattore di compressione di un’eventuale, autonoma iniziativa degli organi di polizia giudiziaria. (…)
  5. L’autorizzazione alle intercettazioni è attribuita al Tribunale collegiale, invece che al giudice della fase in cui si trova il provvedimento e quindi di regola al Gip, per tutelare maggiormente la privacy. Sul piano organizzativo, l’attribuzione al Collegio di questa nuova competenza comporterà enormi difficoltà. Un qualsiasi provvedimento in questa materia, infatti, determinerà l’incompatibilità dei magistrati che lo avranno adottato a trattare il procedimento in qualsiasi fase successiva. Per grandi processi di mafia, per i tribunali medio-piccoli, sarà impossibile formare i collegi giudicanti, perché si dovranno coprire turni e ferie.
  6. Inoltre, ogni richiesta di intercettazione, ripresa video e acquisizione di tabulati esige, secondo questa nuova legge, l’invio di “tutti gli atti di indagine” al tribunale. Un aggravio enorme e sostanzialmente inutile per le strutture già al collasso degli uffici giudiziari.
  7. La modifica dei termini delle intercettazioni (art.267 c.p.p.): appare assolutamente irrazionale, immotivata e soggetta a rilievi di costituzionalità sotto il profilo dell’azione penale, la previsione di termini iugulatori previsti in 30 giorni, prorogabili di altri 15, e solamente in caso di nuovi elementi, specificatamente indicati, di ulteriori 15 giorni. Se poi emerge l’esigenza di impedire che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori ovvero che siano commessi nuovi reati si può ottenere un’ulteriore proroga di 15 giorni. Infine in caso di ulteriori elementi si andrà di tre giorni in tre giorni. Per quale ragione infatti tali termini devono essere inferiori a quelli già previsti per le indagini in rlazione ai delitti non di mafia o terrorismo previsti dal primo comma dell’articolo 266 del c.p.p.?
  8. La valutazione dei gravi indizi di reato secondo i nuovi criteri restringe ancora di più la possibilità di effettuare intercettazioni, videoriprese e perfino acquisizioni di tabulati, circostanza particolarmente grave per i cosiddetti reati spia per le ripercussioni sui reati di mafia.
  9. Il termine dei 75 giorni potrebbe essere troppo breve per i reati di criminalità organizzata (non mafiosa) e in particolare per i reati-spia, e per i reati gravissimi, a cominciare dall’omicidio.
  10. È vietato lo stralcio delle registrazioni e dei verbali attinenti il procedimento prima che gli stessi vengano posti a disposizione dei difensori. Poiché però i processi di mafia e terrorismo hanno inevitabilmente ad oggetto una pluralità di posizioni e di filoni investigativi il pm dovrebbe rivelare e quindi “bruciare” anche le “piste” su fatti anche gravissimi per i quali non è possibile per motivi più vari (di solito per la necessità di approfondire le indagini) procedere contemporaneamente ai fatti per i quali si deve provvedere subito (per esempio, perché c’è un indagato detenuto).

Su quattro punti, e solo su quattro dei dieci sollevati dal procuratore Grasso, si discute di possibili emendamenti: intercettazioni estese anche per tre reati-spia; rivedere il meccanismo delle 72 ore di proroga in extremis oltre i 75 giorni concessi; allargare il periodo di attesa per l’entrata in vigore della legge sul passaggio da autorizzazione monocratica a autorizzazione collegiale (oggi sono previsti sei mesi; si potrebbe aspettare di più in attesa che si passi al processo penale interamente informatizzato); semplificare l’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico.

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.