Bindi: “Dalla parte di Libertà e Giustizia per una nuova legge elettorale”

30 Giu 2010

«Sono in prima linea, insieme a tutto il Pd, nella difesa della libertà di stampa»: Rosy Bindi, vicepresidente della Camera e presidente del partito Democratico, aderisce (con la passione civile che ha sempre segnato le sue iniziative politiche) alla manifestazione del 1 luglio organizzata dalla Fnsi “contro i bavagli e i tagli” (a Roma, piazza Navona, dalle ore 17, e in altre città), per opporsi al ddl sulle intercettazioni, in discussione alla Camera (e anche per rispondere alle parole del premier che dice: «i quotidiani raccontano solo frottole e fanno disinformazione»).

Bindi sottoscrive inoltre, pienamente convinta, l’appello che Libertà e Giustizia ha rivolto il 21 giugno (“Mai più alle urne con questa legge”) a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, affinché si impegnino a modificare in tempi rapidi la legge elettorale vigente. Ricordiamo che hanno già firmato il segretario Pd, Bersani, e il leader Idv Di Pietro.

Anche l’altra recente iniziativa di Libertà e Giustizia (“Contro il golpe, gli articoli 62 e 67 della Carta”, 8 giugno) è condivisa da Bindi: un terzo dei deputati o senatori possono chiedere la convocazione “straordinaria” della Camera di appartenenza e domandare al presidente del consiglio di presentarsi in Assemblea. Per chiarire –  spiega LeG – l’obiettivo di recenti e ripetute affermazioni del premier che delegittimano il Parlamento e altri organi di garanzia istituzionali (Alta Corte, Quirinale). Dice Bindi che «tutte le iniziative che sollecitano una maggiore attenzione e consapevolezza sui rischi di un’involuzione autoritaria e illiberale sono utili».

Nata a Sinalunga (Siena) il 12 febbraio 1951, Bindi è presidente del Pd dal novembre scorso. Proviene dalla Dc e dal partito Popolare. E’ stata ministro della Sanità per quattro anni, dal 1996 (governi Prodi e D’Alema), e poi ministro delle politiche per la Famiglia nel 2006.

Presidente Bindi, non crede che sia urgente restituire al cittadino il potere previsto dalla Costituzione di eleggere i propri rappresentanti, che, invece, con la legge detta “porcellum”, è depositato nelle mani di pochi capi partito? Si potrebbe almeno ripristinare la legge elettorale in vigore fino al 2005, nota come “Mattarellum”.
«Sottoscrivo l’appello di Libertà e Giustizia. Una nuova legge elettorale è sicuramente una delle priorità del Pd. Direi che il confronto sulle riforme istituzionali, se vuole essere serio e credibile, deve partire da qui, come una sorta di precondizione ad ogni altro intervento. Il primo passo deve essere quello di sgombrare il campo da una legge elettorale che ha prodotto guasti profondi nel rapporto tra cittadini ed istituzioni, ha ristretto gli spazi della partecipazione contribuendo a delegittimare la politica. Occorre quindi restituire agli elettori il diritto e la libertà di scegliere i propri rappresentanti. In Parlamento oggi non siedono degli eletti, bensì deputati e senatori nominati dalle segreterie dei partiti. Questo è un vulnus all’idea di democrazia che sta nella nostra Costituzione. Non possiamo rassegnarci a questo decadimento della funzione parlamentare».

Il capo del governo Berlusconi non dovrebbe ormai rispondere davanti al Parlamento anche della incredibile e contestata nomina del ministro Brancher?
«Abbiamo già chiesto che il presidente del consiglio riferisca in Parlamento sulla nomina di Brancher e anzi chiediamo con forza che il neoministro si dimetta. La vicenda è ben più che imbarazzante per governo e maggioranza. E’ un nuovo esempio di uso improprio delle istituzioni. Nessuno nel governo è ancora in grado di dire a cosa serva la sua nomina, quali sono le sue competenze. Il “ministro low cost” si è rivelato un “ministro ghost”, cioè un ministro fantasma, ripudiato da un pezzo del suo partito e dai suoi stessi sponsor. Con lui al Quirinale c’erano anche Calderoli e Tremonti, i due ministri più vicini a Bossi. Insomma, Brancher si deve dimettere e se non lo farà il Pd – lo confermo – presenterà una mozione di sfiducia».

Il ddl sulle intercettazioni è adesso di fronte alla Camera: secondo lei, vicepresidente dell’Assemblea, i deputati riusciranno ad approvare il provvedimento prima della pausa estiva e quindi il Senato dovrà occuparsi di nuovo del progetto a settembre, o forse c’è perfino la possibilità che il ddl finisca su un binario morto?
«Siamo stati subito contrari, senza se e senza ma, a questo ddl che consideriamo del tutto improponibile. L’ennesimo provvedimento “contra iustitia”, che indebolisce l’azione della magistratura e l’efficacia delle indagini e introduce una forma surrettizia di censura nei confronti dell’informazione. La tutela della privacy richiede un altro approccio e altri interventi e non ha nulla a che vedere con i cavilli congegnati per ostacolare le inchieste. Noi in Parlamento ci stiamo battendo contro questo provvedimento e misureremo la coerenza di quanti, nella maggioranza, hanno mostrato forti perplessità. Non c’è alcuna urgenza e non è questa una delle priorità. Inoltre il Pd ha aderito con convinzione alla manifestazione di piazza Navona di domani, e siamo da sempre in prima linea nella difesa della libertà di informazione, un elemento essenziale per la qualità della democrazia».

La manovra economica (al Senato) viene contestata da Regioni e Comuni, dai sindacati e da molte categorie di lavoratori: colpisce i ceti deboli e il reddito fisso. Ma si può finalmente immaginare di far pagare qualcosa anche ai redditi alti o prevedere una tassazione più elevata – anche una tantum – sulle rendite da capitale?
«L’iniquità della manovra è del tutto evidente. Dopo aver negato per due anni la crisi economica, il governo pretende di farla pagare, ancora una volta, ai soliti noti: i lavoratori, le famiglie, le persone più fragili e in difficoltà. Tremonti torna alle vecchie ricette neoliberiste, la riduzione della spesa pubblica è, in primo luogo, riduzione dei servizi essenziali e impoverimento del sistema di welfare. In questo modo si deprime la crescita, come avvertono anche gli economisti più lungimiranti, e si mette a repentaglio la coesione sociale. I sacrifici andrebbero ripartiti in modo più equo, colpendo l’evasione fiscale e le rendite. Ma questa maggioranza non è in grado di fare scelte lungimiranti, appunto».

Il Pd continua ad essere segnato dalle divisioni e dalle polemiche interne: in una situazione di emergenza come quella che attraversiamo non sarebbe bene ricercare quell’ “amalgama” necessario tra le diverse componenti del Pd e i vari leader?
«L’immagine di un Pd litigioso credo sia un po’ enfatizzata. Capisco che fanno più notizia le polemiche, ma spesso si tratta di distinguo marginali. E’ vero però che occorre ‘marcare’ meglio il profilo ‘plurale’ e la proposta politica del partito. Ognuno deve fare responsabilmente la propria parte, affinchè il pluralismo culturale sia una ricchezza e una forza del Pd, e non un elemento di paralisi dell’iniziativa del partito. L’Assemblea nazionale del 22 maggio ha segnato un cambio di passo importante con l’elaborazione di un progetto per l’alternativa condiviso e partecipato (ci siamo occupati di lavoro,economia, ambiente, ricerca e università, Europa e riforme istituzionali, affrontando i problemi del paese). E nell’Assemblea programmata nella prima settimana di ottobre discuteremo di welfare, scuola, sicurezza».

Ecco, lei parla di un progetto condiviso: quale può essere la politica delle alleanze (senza le quali il Pd non riuscirà mai a sconfiggere Berlusconi), verso l’ Udc, l’Idv e la sinistra di Vendola?
«Come le ho detto, abbiamo un “cantiere” aperto con proposte. E da qui può ripartire anche un’azione più incisiva e convincente verso le altre forze dell’opposizione. L’alternativa si costruisce a partire da una proposta sul paese – l’Italia che vogliamo – cercando in primo luogo il consenso dei cittadini. Le intese e le alleanze politiche sono necessarie, ma a partire dalla nostra piattaforma alternativa. Intanto in Parlamento si misurano alcune convergenze importanti con Di Pietro e Casini. Mentre in molte realtà locali ci sono già alleanze con le altre forze della sinistra. Noi vogliamo battere Berlusconi per governare il paese. Sappiamo che per farlo occorre costruire un “nuovo centrosinistra”».

Ma si potrebbe arrivare anche ad elezioni anticipate, nei prossimi mesi o nella prossima primavera?
«Non escludo che Berlusconi sia tentato di uscire dalle evidenti difficoltà del governo, con una brusca interruzione della legislatura. Ma non credo che possa rischiare di presentarsi agli elettori con un bilancio così fallimentare come quello che vediamo. Sarebbe costretto ad ammettere la propria incapacità e le debolezze della sua maggioranza. In ogni caso anche tale questione non è tutta nelle sue mani: infatti lo scioglimento delle Camere è ancora prerogativa del Presidente della Repubblica».

All’estero il ruolo delle donne in politica è sempre più evidente ed importante: in Australia è ora premier Julia Gillard e in Finlandia, Mari Kiviniemi. Lei pensa che in Italia sia ancora prematuro proporsi come obiettivo politico la scelta di una donna candidato premier, nel centrosinistra? Non sarebbe un grande segnale di svolta e di rinnovamento?
«L’Italia è un paese bloccato con una democrazia più povera anche perchè le donne non hanno ancora i riconoscimenti che meritano. E’ un problema della società prima che della politica. Siamo continuamente sotto esame nelle professioni e nelle istituzioni. E’ difficile affermare la parità e l’uguaglianza nelle relazioni tra i sessi, nella vita quotidiana, nell’immagine della donna veicolata dai media e dalla televisione. Molto dipenderà dalle nuove generazioni, dalla loro capacità di sostenere l’autonomia e le responsabilità femminili, di esigere politiche di parità, di battersi in difesa della dignità delle donne. Certo non ci regaleranno nulla».

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