La Padania non esiste

23 Giu 2010

La Padania non esiste, dice Gianfranco Fini, è solo “una felice invenzione propagandistica”. Bossi va su tutte le furie e risponde che ci sono 10 milioni di persone pronte a difendere le ragioni del Nord. Tra i due litiganti, il terzo, Berlusconi, pare non godere della situazione. Ormai all’interno del governo è rissa continua

Si potrebbe prenderla con ironia questa polemica politico-lessicale tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Fini sostiene che la Padania “non esiste”, ma è solo “una felice invenzione propagandistica”. E Bossi, per testimoniarne l’esistenza, fa ricorso al vecchio armamentario leghista. Tre anni fa aveva fatto la sparata sui “trecentomila uomini armati”, pronti a far valere le ragioni del Nord. Oggi annuncia che “ci sono grosso modo dieci milioni di persone” pronte a battersi per la Padania. Insomma, scompaiono le armi, ma crescono i numeri… Tuttavia, non è il caso di lasciarsi fuorviare dalle mascherate del Carroccio. E’ quanto meno imbarazzante ascoltare esponenti leghisti che predicano la frantumazione della Repubblica di cui sono ministri e viceministri, cosa che è accaduta al raduno di Pontida. Tanto più quando si ha un presidente del Consiglio preoccupato solo di tenersi buono il “senatur” e di evitare, quindi, qualsiasi sgarbo alla Lega. Berlusconi  si muove come se il grande disordine nella maggioranza non lo riguardasse. Gli preme, anzitutto, chiudere al più presto il caso intercettazioni, facendo approvare entro l’estate la legge bavaglio, così da mettere il governo al riparo dalle incresciose notizie che riservano ogni giorno le inchieste giudiziarie sulla cricca.

Questo è lo scenario offerto da una coalizione sempre più in stato confusionale. Abbiamo un partito, la Lega, al governo ormai da anni, che si dice pronto alla secessione se le cose non andassero nel verso giusto e il federalismo subisse una battuta d’arresto. Un presidente del Consiglio preoccupato del proprio “particulare” e che con Bossi è legato a filo doppio. Un terzo incomodo, Fini, che si oppone alla diarchia Cavaliere-Lega, per difendere anche il proprio futuro politico. Il leghismo rappresenta, infatti,  un  approdo organizzato per le incertezze del Pdl, capace di prevalere, alla lunga, sulle debolezze del partito personale di Berlusconi. Il che lascerebbe ben poco spazio all’obiettivo finiano di una destra decente, rispettosa della Costituzione, attenta all’unità nazionale. Mettiamo tutti questi elementi nel contesto di una grave crisi economica, affrontata con una manovra inadeguata, che promette ai ceti più deboli i sacrifici maggiori, e abbiamo una situazione da brividi.

Un leader affidabile, degno della carica che ricopre, dovrebbe affrontare questa fase senza inutili forzature, destinate a riflettersi in modo negativo sul quadro generale. Ma Berlusconi ha in mente  ben altro itinerario: tranquillizzare Bossi, offrendoli qualche contentino per le “regioni virtuose” del Nord; non darla in nessun caso vinta a Fini ( e si racconta sia andato su tutte le furie per l’ennesima punzecchiatura del presidente della Camera); sgravarsi delle grane maggiori, lasciando fare agli altri il “lavoro sporco”, così da ricomporre una realtà di comodo, grazie al dominio mediatico di cui dispone. Stando così le cose, le aperture a Bossi debbono essere compensate dalla presenza massiccia delle truppe leghiste  quando, ad agosto, si voterà la legge anti-intercettazioni. Il Cavaliere non intende fermarsi. Vuole provarci fino all’ultimo, malgrado l’ammonimento del capo dello Stato affinché ci si concentri sull’unica priorità: la manovra economica e la buona salute dei conti pubblici.

Insomma, con Berlusconi, il quadro rimane immutato. La sua pretesa è quella di sempre: immunizzarsi da ogni controllo, garantire con legge la sua persona e i suoi interessi. Tempestività ed efficienza non brillano nell’agenda del governo. Ma quando si tratta di preservare il capo, fioriscono d’incanto. Come dimostrano le 39 leggi ad personam sottoposte al Parlamento: dal legittimo impedimento della Cirielli-Schifani-Alfano all’ultimo provvedimento sulle intercettazioni, bavaglio per la magistratura e per l’informazione. Tuttavia, non è detto che debba averla vinta anche questa volta. Si può fermarlo, se l’opposizione ritrova le sue ragioni e l’opinione pubblica manifesta la sua forza. Le ultime vicende ci consegnano un capo carismatico ferito. Un Berlusconi  condannato a governare sempre più debole.

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