Essere radicati nel territorio

Dovrebbe tradursi, in linguaggio commerciale, in “abbiamo una clientela vasta e fidelizzata”. Purtroppo, o per fortuna, abbiamo anche qui un’espressione fuorviante: ‘fidelizzato/a”. È bene tradurre di nuovo: qualcuno che è “fidelizzato” (non ‘fedele’, ma reso fedele) è una persona che nel tempo (quanto? non si sa) ha mostrato una certa costanza di comportamenti; nel caso specifico di voto ma anche, ad esempio, di orientamento negli acquisti: un certo prodotto/servizio di un certo produttore/distributore. Perché? Perché è o è stato convinto a farlo. Un ‘fedele’ è qualcuno che è convinto; un fidelizzato è qualcuno che è stato convinto. La differenza non è poca.
Senza farla lunga possiamo tradurre l’ “essere radicati nel territorio” con “in quell’area vendiamo bene e la concorrenza non ci scalzerà facilmente”. Ora, che si venda bene non significa necessariamente che il prodotto sia buono e che il venditore sia onesto. Molto, se non tutto, è questione di propaganda e sappiamo che la propaganda (pubblicità) è per definizione ingannevole. Avere, dunque, una importante ‘rete di vendita’ in un’area (che è quel che, anche, si intende con ‘radicamento’) può essere conferma che il prodotto venduto è buono (e dunque necessita di una rete di distribuzione e assistenza capillare, oppure che ci sono margini molto ampi di profitto e dunque si può, e bisogna, essere capillarmente presenti per insistere nell’enfatizzazione propagandistica di qualità che il nostro prodotto non ha e nell’additare al pubblico difetti, non necessariamente esistenti, del prodotto della concorrenza e rischi gravi (???) che il pubblico correrebbe acquistandoli.
Il ‘radicamento nel territorio’ insomma, significa poco se non si spiega bene il perché di esso. La gente può dare e rinnovare la propria fiducia perché quella fiducia è meritata oppure perché quella fiducia è carpita. In fondo anche il fascismo poteva ben dirsi “radicato” in Italia. Finchè è durato. E, fosse anche durato, è arduo sostenere che il prodotto fosse il migliore sul mercato.

3 commenti

  • Pingback: Lessico del populismo e della volgarità | Libertà e Giustizia

  • visto che ormai avevamo distrutto la nostra terra ,

    visto che ciò si era prodotto per fenomeni interni ( cemento=mafie e lobby, affari e politica) e per fenomeni esterni ( il massacro subito dalle intensificazioni delle produzioni agricole di tutto il mondo) ,

    premesso che nei fenomeni interni , anno su anno, la plitica del paese è stata volutamente disattenta al nostro patrimonio,materiale e umano, fra cui per primo al mondo, il nostro concentrato di bellezze artistiche,storiche e paesaggistiche

    premesso che gli uomini muoiono ,ma le bellezze eterne dovevano essere lasciate come le avevamo trovate

    si arriva quindi con queste e altre premesse, a stravolgere le radici , le radici di quel suono “terra” , che ovviamente è “terra e i suoi uomini” , di cui azzerare ogni “tradizione contadina” nel senso più lato del termine e far risuonare la parola di radici modificate che è “territorio”

    ne è evidente che gli stessi attori che hanno sradicato gli uomini dalla loro terra ( cultura in senso lato, di anima popolare ma anche intellettuale) , ora ne promuovano un programma propaganda a botte di polente ma anche i soliti mandolini , quelli dell apeggiore “tradizione”delle sua parte meno pagana e più villica ( o mafiosa lobbistica ) che dir si voglia, neppure volgare ,nel senso piu antico di questa parola

    è impossibile ed evidente,per quelli che hanno ancora in loro quell’”anima” , credere anche solo a una parte di quella propaganda fatta a più lati sui temi della sicurezza , nè della convivenza multiculturale, nè tantomeno sui temi del saper fare case che non vi crollino nelle loro radici fondamenta

    figuriamoci se è possibile credere che quelli che si radicano meglio nel territorio , sono come evidente e indubbio risultato, quelli che ne raccolgono i voti, tradendo con quatrro spacche sulla spalla ,date meglio degli altri, il significato profondo del legame di rappresentanza e fiducia alla radice del rapporto fra gli uomini governati e i govenrnati ( locali o regionali o nazionali, che peraltro non votiamo più)

    è evidente che con quattro urli ,mi faccio fesse anche le madri di adro, tanto per parlare di una terra trasformata in territorio, in cui le vere vittime , non sono solo quelle linciate perchè hanno ancora chiaro il rapporto solidale fra le persone, ma sono anche quelle ridotte alla rivolta come belve feroci contro il benefattore “di una volta” ( peraltro nemmeno da solito “comunista” di turno da bollare, avendo votato comunione e fatturazione di un ineleggibile a qualsiasi terra e territorio)

    una grandissima bufala comunque la si guardi questa parola territorio, anche se la si guardi semplicemente come “perimetro” amminsitrativo dei servizi al cittadino

    tutto da rifare insomma per ritornare a quel legame rivitalizzato degli immortali e genuini ingredienti che collegano “la comunità” nelle sue varie relazioni, per primo con la terra

    un ‘eccellenza in questo saper collegare antico e tempi tecnica/tecnologia a vantaggio dell’uomo/persona/ cittadino , è per me e non solo per me , il comune di cassinetta di lugagnano, che ha puntato il perno dell’intera “macchina terra”, sopendendo ad libitum gli oneri di urbanizzazione , dai quali discendono i figli della corruzione dell’intero rapporto uomo/terra e fra uomini

    ti lascio e vi lascio , caro marcuse , questo solco diciamo . un caro saluto

    http://www.domenicofiniguerra.it/

  • L’enfasi sul “territorio”, qui come in altre espressioni (“occuparsi dei problemi del territorio”, “pensare al territorio”, ecc.), presenta due ulteriori caratteristiche: in primo luogo l’innesto sull’operazione mitopoietica che soprattutto la Lega conduce, nel tentativo di offrire agli abitanti di zone deprivate del passato (da un’industrializzazione troppo rapida, dal cemento, dall’accoglimento prono e spensierato di modelli socioculturali altri) l’illusione della permanenza di un’identità locale; in secondo, l’idea di una utopica autosufficienza per cui il “territorio” dovrebbe e potrebbe badare a sé soltanto, libero dalle noie (principalmente, va da sé, economiche) dell’appartenenza a una comunità più ampia, che sia lo Stato nazionale, l’Europa, o in certi casi – si pensi all’immigrazione – l’umanità tout court.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>