Finanziaria, quella debolezza che cova sotto la soddisfazione

01 Giu 2010

Considerazioni a margine delle valutazioni di Bankitalia. Tremonti e Draghi si detestano, ma si trovano in linea contro Berlusconi. E il premier invece di infuriarsi, si accontenta dei riconoscimenti di circostanza

A prima vista Berlusconi potrebbe dichiararsi soddisfatto: nella manovra licenziata da Napolitano sono scomparsi i tagli degli enti culturali (tradotto: Bondi batte Tremonti), nelle considerazioni finali del governatore Draghi la politica economica del governo viene sostanzialmente promossa. Ma è un’illusione ottica. La verità, quando si ascoltano i protagonisti della vita economica, è che la filosofia berlusconiana appare stonata, fuori moda, un orpello vintage di cui converrebbe fare a meno.

Le parole più pronunciate nei consessi finanziari sono proprio quelle più estranee al lessico del Cavaliere: crisi, evasione fiscale, regole, incentivi per lo sviluppo. E’ accaduto in Confindustria e alla Banca d’Italia. E a poco serve che a queste analisi spietate si accompagnino parole cortesi nei confronti del governo. Berlusconi se ne accontenta perché non può fare diversamente, ma il gioco dell’apparenza contrapposta alla realtà, quello che gli ha regalato tante vittorie elettorali, rischia di non reggere il confronto con la durezza dei tempi.

Tremonti lo ha capito. Chi ha letto la sua intervista di lunedì al Corriere della Sera si sarà reso conto che, dietro la formale professione di lealtà al governo di cui fa parte, il ministro dell’Economia ha imboccato una strada divergente: quando afferma la necessità che la politica debba tornare a dettare regole severe che impediscano le distorsioni del mercato, pronuncia una severa condanna di tutta la teoria economica berlusconiana.

Allo stesso modo, il Mario Draghi che mette nel mirino l’evasione fiscale, sostenendo che se l’Iva fosse stata pagata oggi avremmo il rapporto debito-Pil più basso d’Europa, e fa appello all’Italia unita perché metta in campo le sue energie migliori, dà l’impressione di avere in qualche modo superato Berlusconi, di averlo messo tra parentesi, sia pure con educata gentilezza.

L’aspetto curioso della vicenda è che i due, Tremonti e Draghi, si detestano, mentre potrebbero tranquillamente allearsi, visto che l’unico punto di sostanza che li divide è il diverso atteggiamento verso le rivendicazioni leghiste.

Ma non è questo che conta. Conta, invece, il fatto che un Berlusconi forte avrebbe dovuto infuriarsi con entrambi. Se non lo ha fatto, se si accontenta dei riconoscimenti di circostanza di Draghi e del dispettuccio fatto a Tremonti per interposto Bondi, vuol dire che forte non è. Naturalmente non c’è da aspettarsi che si dia per vinto. Lui non si arrende mai, ed è questa la sua forza. Resta da vedere se i suoi nuovi antagonisti, Draghi e Tremonti, ma anche la Confindustria, Fini e quanti nella maggioranza cominciano ad avvertire il mutamento di clima, sapranno coagulare una posizione che lo renda definitivamente obsoleto.

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