Manovra, 18 anni fallimentari al primo giro di boa

26 Mag 2010

Da oggi abbiamo nei fatti un nuovo governo, un esecutivo guidato da Giulio Tremonti e Gianni Letta. Un certo Silvio Berlusconi si occupa della comunicazione e delle pubbliche relazioni

E così la manovra da 24 miliardi è in fase di lancio. Ovvio, nel casino più completo. Berlusconi ha resistito (ma non per molto) sulla parte evasione fiscale, ovvero sulla tracciabilità del nero che, come le seppie, secernono i suoi cari elettori. La Cgil fa notare (e non a torto) che l’Italia è l’ultimo paese europeo quanto a tassazione delle rendite capitalistiche, Brunetta si prende i suoi fischi (forse anche meritati, data l’arroganza passata e presente). Tutti cominciano il gioco del tira e molla.

Che tristezza, per un paese che è così dal 1992. Sono passati quanti anni da quell’estate in cui Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi dovettero sottostare ai diktat dell’Fmi perchè il beneamato trio Craxi-Andreotti e Forlani (con l’aiuto dello stesso Amato – dottor sottile – e Silvio Berlusconi, il rampante) aveva lasciato l’Italia in mutande e sull’orlo del baratro? Non avevano i soldi per pagare i salari pubblici, quell’estate, e tassarono persino i conti correnti. Il debito pubblico italiano era al 120% del Pil, persino un po’ meno di ora.

In quel 1992 successero tante cose: Lima, l’andreottiano, fu platealmente ucciso da una mafia in rivolta contro gli antichi referenti politici; fu fondata da Dell’Utri Forza Italia, Falcone e Borsellino (i rompiballe) furono massacrati. Fu un anno delicato, e di svolta. Perchè tutti capirono, buoni e cattivi, criminali e non, che una certa Italia era fallita. E bisognava cambiare, nel bene come nel male.

Cambiammo nel male. Invece di affrontare il problema Italia, mollando le panzane da bere di Bettino, invece di trovare nuove e reali fonti di valore atte a ripagare il debito, invece di alleggerire l’amministrazione (5 livelli sovrapposti, un record europeo), invece di riformare il pubblico, creare un fisco equo, ridarci regole civili, rifare un’industria trainante, aggredire e liquidare le cosche e darci (specie ai giovani) un’onesta spinta produttiva, l’Italia già nel 1994 inseguiva i facili sogni televisivi e soporiferi di Silvio.

E per 18 anni restò così fallita, come è sostanzialmente ora. Salvata solo dalle sue imprese e dal lavoro, la pazienza e il risparmio dei suoi cittadini-formiche, ovvero della sua minoranza non furba. Quelli che oggi si sono persino stufati di votare.

Un equilibrio precario, che non poteva durare, non dura e non durerà. E il crollo matematico, nelle cose e nei numeri, fu solo rinviato dai ruggenti anni 90, di estensione all’Asia del capitalismo e di sviluppo inatteso dal basso di Internet. Ma oggi i nodi sono di nuovo al pettine.

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