E il Cavaliere valuta nuove correzioni “Non voglio problemi col Colle”

21 Mag 2010

Liana Milella

Il Quirinale, i finiani, gli editori. Un mix insostenibile. Troppo pure per il Cavaliere, che da un paio di giorni vedeva profilarsi un terribile incubo: la tanto agognata riforma delle intercettazioni, superato l´ostacolo del Senato, che si arena di nuovo alla Camera, sprofonda in commissione Giustizia nelle mani della Bongiorno, resta impantanata lì, con il Colle che convoca di nuovo Alfano e gli “consiglia” di cambiare il testo pena un altolà in dirittura d´arrivo. E dunque una quarta lettura, l´autunno, la fotografia di una sconfitta. Un provvedimento approvato a giugno del 2008 che dopo due anni ancora arranca e non vede un approdo.
Non ce l´ha fatta Berlusconi, soprattutto quando sono andati da lui Gianni Letta e Paolo Bonaiuti per confidargli le crescenti preoccupazioni degli editori. A questo punto ha chiamato il Guardasiglli e gli ordinato: «Ferma tutto, e cambia la legge». Riunione ristrettissima a palazzo Grazioli, Angelino Alfano, l´immancabile Niccolò Ghedini, il relatore Roberto Centaro. Berlusconi passa soltanto per dare un saluto e dire «andate avanti così». E aggiungere: «Voglio un testo che non crei problemi né con Fini né col Colle». Visto che stavolta le preoccupazioni di Napolitano coincidono giusto con quelle della terza carica dello Stato.
Abbassare le pene ai giornalisti non è che la prima mossa, da fare in commissione, ma poi ci sarà ben altro. Soprattutto perché gli uomini del presidente della Camera si sono fatti intendere molto bene: «Il diritto di cronaca è essenziale, non possiamo rinunciarci. E non contano solo le sanzioni contro i giornalisti, ma anche l´ampiezza del divieto che viene imposto alla stampa. Noi c´eravamo già impegnati alla Camera trovando un compromesso sugli atti pubblicabili almeno “per riassunto”. Adesso bisogna ritornare lì, altrimenti salta il rispetto dell´articolo 21 della Costituzione».
È il punto cruciale anche per il Quirinale, che negli ultimi giorni, in più d´una pubblica occasione, non ha mancato di metterlo in evidenza, lanciando un segnale chiaro a palazzo Chigi. Che però fino all´altro ieri non era stato ascoltato, né preso nel dovuto conto.
Adesso invece Alfano e Ghedini sono alle strette. I finiani protestano ufficialmente. Ecco Italo Bocchino: «È una cosa di massima civiltà vietare di rendere pubbliche le intercettazioni, ma è una forzatura vietare di parlare del tutto di un´inchiesta fino al processo». Fabio Granata: «Dentro al ddl ci devono stare i reati collegati alla mafia, niente limiti alle microspie, atti pubblicabili “per riassunto” , come aveva proposto la Bongiorno. Tutto questo deve rientrare a far parte della legge». Del resto, pure il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che finiano non è, raccomanda che «non si limiti la libertà di stampa».
È una piattaforma pesante. Che costringe gli uomini di Berlusconi al passo indietro. Soprattutto perché anche i tecnici del Quirinale battono sugli stessi punti. Un´ora di discussione, Alfano, Ghedini e Centaro trovano la quadra. Subito il passo indietro sulle sanzioni ai giornalisti, poi lunedì l´ammorbidimento per gli editori, che lo stesso Centaro aveva già ipotizzato in commissione. Dopo ancora tutto il testo. L´ennesimo restyling della legge, che sarà messo a punto la prossima settimana, prima che il testo vada in aula al Senato. Certo, è una brutta figura fare marcia indietro a meno di tre settimane dal deposito degli ultimi emendamenti. Ma meglio questo che uno scontro in aula con i finiani e ancor peggio la bocciatura del Quirinale.
Gli uomini più fidati di Berlusconi valutano un´ipotesi, quella di tornare al testo approvato dalla Camera l´11 giugno di un anno fa sotto l´incalzare della fiducia. E che aveva ricevuto il lasciapassare dei finiani, non entusiasti per carità, ma consci di aver strappato in quel momento l´unico compromesso possibile. Un testo da correggere in un solo punto, gli «evidenti indizi di colpevolezza» necessari per poter registrare una telefonata o mettere una microspia o richiedere un tabulato, formula che Napolitano aveva subito bocciato. Corretta al Senato prevedendo i «gravi indizi di reato». I berluscones pensano così di poter chiudere così la partita.

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