Intercettazioni, primo sì alla legge bavaglio

18 Mag 2010

Liana Milella

ROMA – Sta per cambiare la storia delle inchieste giudiziarie in Italia. Ormai è solo questione di giorni. Uno strumento fondamentale d’indagine come le intercettazioni non sarà più quello di prima. Si cambia definitivamente pagina. Il primo passo c’è stato ieri sera, al Senato, in commissione Giustizia. In una seduta notturna, e del tutto straordinaria trattandosi di lunedì quando a palazzo Madama di solito non c’è neppure l’ombra di un senatore, con un fortissimo scontro tra maggioranza e opposizione, è passata la totale riscrittura delle regole per registrare una telefonata, mettere una microspia, richiedere un tabulato. Con parole grosse volate tra il dipietrista Luigi Li Gotti e il sottosegretario alla Giustizia Ciacomo Caliendo. E con il tentativo disperato dell´opposizione di rinviare ancora un voto che ormai, dopo decine di interventi, era ormai inevitabile. Alle 22, dopo un braccio di ferro durato per tre sedute, è stato votato l’emendamento del governo che riscrive interamente l’articolo 266 del codice di procedura penale. Quello che stabilisce cosa deve fare un pm, cosa deve fare il giudice, quanto può durare un ascolto, quali sono le condizioni per disporlo.

Il pm dovrà avere in mano «gravi indizi di reato». È così anche oggi, ma bastano solo quelli, non ci sono altri paletti. Invece, se l´aula del Senato e poi la Camera in terza lettura, dovessero confermare le nuove norme imposte dal governo, accanto ai «gravi indizi» il pm dovrà contare su «specifici atti di indagine» che provino la responsabilità dell´indagato o delle altre persone che si vogliono controllare.
Come hanno denunciato tutti i più noti magistrati, il riferimento all’articolo 192 dello stesso codice, quello che disciplina la valutazione della prova, comporterà per il pm l’onere di ottenere le pezze d’appoggio contro l’indagato ancora prima di richiedere l’intercettazione dalla quale, invece, dovrebbe venire lo stesso materiale di prova. Ma non basta. Ecco il colpo per tabulati e microspie. Per gli uni e le altre varranno le stesse regole rigide. Niente tabulati, cioè una documentazione che non certo viola la privacy come le intercettazioni pubblicate sui giornali, senza prove preventive. E niente cimici, a meno che il pm non sia certo che proprio in quel luogo non si stia commettendo o non si commetterà un reato.

A queste si aggiungono altre due zeppe: la durata “breve” e la necessità di rivolgersi non più al solo gip, che magari stava al piano di sotto nello stesso palazzo, ma al tribunale collegiale del capoluogo di distretto. Come ha denunciato l´Anm, una scelta incomprensibile e destabilizzante. Gli ascolti, che oggi possono essere prorogati finché è necessario alle indagini, non potranno superare i 75 giorni, 30 per la prima fase, poi di 15 in 15 giorni con continue richieste di conferma. Ogni volta il pm dovrà mandare le carte ai tre giudici che, per scritto, dovranno confermare il lasciapassare motivandone di loro pugno l´effettiva necessità. Una gara ad ostacoli.
Che l’opposizione ha cercato di fermare. Con momenti di pesante polemica, come quando Li Gotti ha gridato a Caliendo: «Lei è davvero ignorante. Se non conosce il codice se lo vada a studiare». I due litigavano sul rapporto tra gli articoli 266 (intercettazioni) e 295 (ricerca dei latitanti) del codice. Per Li Gotti, cambiato il primo bisogna sistemare il secondo, e c’è il rischio che non si possano più disporre ascolti contro i latitanti. Il secondo la pensava all’opposto. E proprio sulla mafia, che secondo le toghe non potrà più essere investigata come prima dopo la riforma, la pd Donatella Ferranti ha chiesto conto delle dichiarazioni di Daniela Santanché a Mattino5, dove la sottosegretaria ha sostenuto che registrare i colloqui tra i boss e i loro familiari significa violarne la privacy. La Ferranti chiede al governo di «prendere le distanze». Palazzo Chigi tace.

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