Berlusconi, dura poco il grande bluff

17 Mag 2010

Neppure le qualità camaleontiche di Berlusconi potevano rendere plausibile una reazione giacobina. Il ragionamento del premier ora cambia: non è una nuova Tangentopoli, questa volta, sono coinvolti soprattutto i burocrati e qualche politico che si trova nel mirino delle inchieste giudiziarie più a titolo personale che per finalità di partito.

E’ durato poco il grande bluff. Eppure, all’inizio, sembrava suggestiva l’idea del Cavaliere trasformato in giacobino, che chiama a raccolta le tricoteuses. Un leader amareggiato per il tradimento di collaboratori sleali e mediocri, che si sono fatti incastrare per troppa avidità, e dunque ora deve intervenire:  “Nessuna indulgenza. Chi ha sbagliato pagherà”. Tutto semplice, secondo questo schema. In linea teorica, capace di recuperare il rapporto carismatico tra il capo e il suo popolo. Ma poi, a conti fatti, si è valutato che neppure le grandi qualità camaleontiche di Berlusconi potevano rendere plausibile questo triplice salto mortale. E che, in ogni caso, era meglio procedere con maggiore cautela in un partito per il quale la svolta moralizzatrice rappresentava una novità troppo scioccante. E allora si è deciso di “normalizzare” l’iniziativa. Come al solito, è andato in avanscoperta il presidente del Senato, Schifani, derubricando la marea montante della corruzione a “un sistema di microcriminalità che purtroppo colpisce funzionari pubblici e qualche politico”. Per cui, basta “tagliare le poche mele marce che guastano il raccolto” e tutto tornerà al suo posto.

Il ragionamento fatto dal premier e dai suoi consiglieri è questo: non ci troviamo di fronte a una nuova Tangentopoli, non c’è una corruzione che, come allora, ha il suo perno nei partiti. Questa volta, sono coinvolti soprattutto i burocrati e qualche politico che si trova nel mirino delle inchieste giudiziarie più a titolo personale che per finalità di partito. Il punto debole di questa analisi è che, però, non si tratta di casi individuali, ma di un meccanismo di corruzione e favoritismi che ha un carattere sistemico. Bisogna fare i conti, quindi, con un vero e proprio sistema di arricchimento illecito. Che è stato alimentato dalla mancanza di garanzie e di regole. Quando non è stato addirittura coperto da norme specifiche, come è accaduto per la Protezione civile. E’ una questione, questa, irrisolvibile per il Cavaliere. Per il semplice motivo che la legalità e la normalità democratica non appartengono al suo repertorio. Come si fa ad assumere le vesti del “moralizzatore” quando si detta al Parlamento la legge sulle intercettazioni, che colpisce magistrati e stampa libera, o si sanziona per legge l’appannaggio del lodo Alfano?

Certo, la situazione potrebbe da un momento all’altro precipitare. Gli scandali si incrociano con le devastanti condizioni economiche, che impongono sacrifici difficilmente sopportabili. Ma Berlusconi non accetta uno scenario di crisi. Aveva pensato a un robusto rimpasto di governo con l’ingresso a pieno titolo dell’Udc nella maggioranza. Bossi, però, ha stoppato questa ipotesi. E il Cavaliere non sembra rammaricarsene. Ha un piano di riserva che, a questo punto, gli sembra anche più conveniente: una “collaborazione esterna” del partito di Casini per i provvedimenti più delicati, a partire a partire dalla manovra da 25 miliardi. Del resto, questo è il suo ragionamento, che cosa possono fare i centristi ora che la strada della collaborazione con il Pd, come hanno dimostrato le ultime regionali, si è rivelata in termini di voti penalizzante?

Insomma, è la politica della routine. Ma i rischi ricadono tutti sul Paese. Per il quale lo smottamento politico, economico, sociale minaccia di trasformarsi in una frana.

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