Il Paese della Lista

15 Mag 2010

Nei momenti di svolta della politica italiana, quasi sempre, spuntano le liste. Craxi diceva che dietro c’erano delle “manine”

Siamo da sempre il Paese della Lista. Nei momenti chiave della vicenda politica, nei delicati passaggi da una fase a un’altra, spunta la lista. E’ successo anche questa volta: elezioni regionali vinte dalla maggioranza ma subito gli scricchiolii interni si fanno rumorosi, la crisi economica attanaglia i cittadini, l’opposizione litiga al proprio interno, certamente non è pronta ad elezioni anticipate, ma di elezioni e nuovi equilibri si parla e forse già si tratta.

Craxi diceva che c’erano delle “manine” che ogni tanto si assumevano il compito di manovrare e indirizzare facendo spuntare carte e documenti là dove, a regola, non avrebbero dovuto esserci.

Quando la lista arriva non si capisce da che parte soffia il vento. Servono giorni, a volte anni, a volte non si capirà mai a chi è veramente giovata la lista. In genere ci rimettono un po’ tutti, destra e sinistra, centro (quando c’è). I cittadini leggono i nomi, le accuse, le spiegazioni e aumenta lista dopo lista la fiducia nelle istituzioni. Oggi non sappiamo alla fine chi ne uscirà davvero ferito né si conosce, ad essere sinceri, la gravità della ferita. Non conviene mai cantar vittoria perché le sorprese sono sempre dietro l’angolo.

Sono passati alla storia la sorpresa e lo sconcerto che colsero Gherardo Colombo e Giuliano Turone quando, invece di trovare a Castiglion Fibocchi la lista dei 500 evasori amici di Sindona, si trovarono fra le mani la lista dei 953 piduisti di Licio Gelli. Era la primavera del 1981, andarono ad informare Forlani capo del governo e furono introdotti nello studio di Palazzo Chigi dal capo di gabinetto, la cui scheda di iscrizione avevano nella valigetta che stringevano in pugno. Dopo tre mesi il governo cadde e arrivò Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio non democristiano nella storia della Repubblica.

Altre liste, altri tempi: presto al lavoro una commissione d’inchiesta, la politica affrontava il problema di far luce su se stessa e sui legami oscuri con logge regolari e spurie, con i servi segreti “deviati”, con il doppio Stato. Un voto unanime del Parlamento sancì il principio che la P2 era stata un serio tentativo di conquista delle istituzioni, di svuotamento dal di dentro della normale dialettica politica. Poi venne il giorno dell’insediamento di Bettino Craxi a Palazzo Chigi e ricordo come fosse ieri il momento in cui, in mezzo al portone di Montecitorio circondato da un gruppetto di giornalisti pronunciò il primo di una serie di storici “editti” : “La storia della P2 è morta e sepolta”, parole allora arcane, sulle quali non si è riflettuto abbastanza nel collegare i tasselli fra prima e seconda Repubblica.

La “manina” che sta portando alla luce le liste di Anemone per ora non si sa bene quale sia. Non è nemmeno certo che esista. Si può restare meravigliati che quelli che più adoprano parole forti di condanna e richieste di chiarezza siano giornali e giornalisti di destra, ma solo fino a un certo punto. Io credo che nessun governo, nessuna classe politica possa veramente consentirsi di affrontare una crisi di fiducia che nasce sulla “casa”. La casa parla alle viscere, è simbolo di sogni e sacrifici, di una vita di lavoro. Non può essere merce di scambio per pochi privilegiati, strumento di corruzione, tu mi dai un appalto e io ti regalo la casa. Chi se l’è conquistata col sudore odierà il corrotto che l’ottiene gratis.

E’ uno sgarbo che nemmeno Berlusconi può imporre ai suoi elettori. E’ uno sfregio: ai terremotati le casette di plastica, agli amici le magioni pagate coi soldi dello Stato.

Sui miliardi evaporati alle isole Cayman era anche possibile transigere, nessuno li ha mai visti, fotografati, non era possibile sostare sotto di essi e farsi riprendere scandendo slogan ironici o arrabbiati.

Ma la casa, no. Ecco perché queste liste del costruttore sono davvero pericolose, benzina sul fuoco che cova della protesta e della ribellione. Il paese delle liste non lo può sopportare e nemmeno il governo di Silvio Berlusconi.

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