Riforma della Giustizia, i paletti di LeG

03 Mag 2010

Abolire l’obbligatorietà dell’azione penale vuol dire riconoscere un “padrone” che decide se perseguire o meno un reato
Sottrarre l’avvio dell’indagine ai pm per affidarla alla polizia giudiziaria dà alla politica la facoltà di scegliere anche quali indagini avviare per accertare che un reato sia stato commesso o no.
Per costruire una “giustizia più giusta” serve davvero una riforma costituzionale? Le proposte avanzate, in realtà, non rispondono correttamente ai problemi veri. Piuttosto riflettono la voglia di rivincita del ceto politico rispetto a quello che viene visto come (e magari talvolta è) indebito attivismo giudiziario con effetti politici. Ecco i punti più controversi delle proposte, sui quali LeG esprime un giudizio assolutamente negativo.

Il presidente emerito della Consulta

Per costruire una “giustizia più giusta” serve davvero una riforma costituzionale? Le proposte avanzate, in realtà, non rispondono correttamente ai problemi veri. Piuttosto riflettono la voglia di rivincita del ceto politico rispetto a quello che viene visto come (e magari talvolta è) indebito attivismo giudiziario con effetti politici. Ecco i punti più controversi delle proposte, sui quali LeG esprime un giudizio assolutamente negativo.

1. Obbligatorietà dell’azione penale (art.112 della Costituzione)

Abolire l’obbligatorietà dell’azione penale e riconoscere alla magistratura inquirente una discrezionalità nell’agire che oggi le si rimprovera di usare di fatto è una contraddizione. Vorrebbe dire cioè riconoscere un “padrone” dell’azione penale, perché il pm potrebbe decidere se perseguire – o non perseguire – un reato anche in vista di interessi estranei alla garanzia della legalità (come interessi politici, generali o di parte). Allora il rischio che le garanzie siano asservite ad interessi politici contingenti sarebbe enormemente più alto. Il che metterebbe a rischio il principio di uguaglianza previsto dalla nostra Costituzione. Se la discrezionalità dei pm venisse usata secondo criteri dettati dalla politica, dipendenti direttamente da un programma politico, allora si attenterebbe direttamente all’indipendenza e all’imparzialità della funzione giudiziaria. Se il potere di agire venisse esercitato in modo indipendente da organi dell’accusa che non rispondono se non a se stessi, allora la discrezionalità dell’agire rischierebbe di trasformarsi in arbitrio.
L’obbligatorietà dell’azione penale è proprio la garanzia che il potere dell’accusa non sia esercitato arbitrariamente. Se nei fatti non è rispettata, la risposta dovrebbe essere quella di rafforzare misure e meccanismi che riducano, e non accrescano, i margini di scelta delle procure e dei singoli magistrati.

2. Separazione delle carriere dei magistrati
La tesi della cosiddetta separazione delle carriere fra magistratura giudicante e requirente, se spinta fino al punto di prevedere un duplice e distinto sistema di autogoverno (due Csm) è viziata da un equivoco di fondo. Chi conosce la realtà della giustizia non può credere all’immagine di giudici non «terzi» e non imparziali perché psicologicamente dipendenti dai magistrati della pubblica accusa. Caso mai il problema è nella cultura delle garanzie (anche in quella dei magistrati giudicanti). In ogni caso, siamo di fronte a un dilemma: una magistratura inquirente più autonoma e separata da quella giudicante, se fosse assoggettata ad influenze di organi politici (per esempio assoggettandola ad un Csm presieduto dal Ministro di giustizia) comprometterebbe l’uguaglianza e l’imparzialità nell’amministrazione della giustizia (perché l’iniziativa o la mancanza di iniziativa del pm condiziona la stessa possibilità per i giudici di giudicare); se fosse realmente indipendente e del tutto autoreferenziale, rischierebbe di trasformarsi – specie se «governata» con criteri gerarchici o semi-gerarchici – in un potere ancor più pericoloso di quello che si vorrebbe controllare.

3. Il Csm
Per quanto riguarda il sistema di governo della magistratura, sarebbe certo utile rivedere il modo di elezione dei magistrati componenti del Csm per combattere le pratiche correntizie, e magari anche rivedere le regole sul giudizio disciplinare relativo alle mancanze in servizio dei magistrati (ma non certo riducendo l’indipendenza di giudizio dei singoli magistrati). Come sarebbe utile creare una vera «amministrazione della giustizia», presso il ministero omonimo, che non sia dominio riservato dei magistrati, ed evitare che la molteplicità di incarichi extraistituzionali svolti da magistrati sottragga energie alla giustizia. Ma per tutto ciò basta quasi sempre la legge ordinaria, e talvolta anche meno di una legge.

4. Pm e indagini
L’idea di sottrarre l’avvio dell’indagine al pubblico ministero per affidarla alla polizia giudiziaria è insidiosa: il pm potrebbe assumere l’iniziativa solo in un secondo momento e solo su segnalazione di reato accertato dalla polizia. Lo polizia giudiziaria dipende strutturalmente dal Ministero dell’Interno, anche se posta alle dipendenze funzionali del pubblico ministero. Ancora una volta il potere politico potrebbe condizionare la scelta non solo dei reati da perseguire, ma anche delle indagini da avviare per accertare che un reato sia stato commesso o no.
La giustizia opera con meccanismi del tipo domanda (o iniziativa)-risposta giudiziaria, e l’iniziativa a sua volta non è libera ma ampiamente vincolata. La giustizia non può scegliere liberamente gli oggetti di cui occuparsi, né, entro certi limiti, dovrebbe poter scegliere quando occuparsene. Di fronte ad una azione o ad una pronuncia giudiziaria, la prima domanda non dovrebbe essere: «perché è stata adottata?», ma: «è giusta, è legale?».
Viceversa la politica opera per determinazioni generali, ponendo o modificando regole, o comunque per provvedimenti assunti in chiave di interessi generali liberamente apprezzati. La politica per definizione è padrona del proprio ordine del giorno, e quindi di decidere su che cosa decidere, e quando.
In definitiva, l’esercizio della funzione giudiziaria (anche requirente) dovrebbe essere ricondotto sempre a stretti e oggettivi criteri di legalità, anche restringendo e controllando eventuali margini eccessivi di discrezionalità e tentazioni di protagonismo “politico” degli organi  del pubblico ministero: il contrario di una linea che tenda a condizionare l’attività del pubblico ministero a direttive o indirizzi degli organi politici.

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