Lavoro, il testo va al Senatoma le modifiche sono parziali

29 Apr 2010

Dopo due anni di dibattiti e cinque “letture” parlamentari, le norme sul lavoro rinviate alle Camere dal capo dello Stato (serie riserve sulla coerenza della legge con le normative generali a tutela dei diritti contrattuali dei dipendenti) sono state approvate dall’assemblea di Montecitorio a maggioranza: 259 sì del centrodestra, 214 no dell’opposizione di sinistra, 35 astensioni dell’Udc e dei liberaldemocratici. La legge passa ora al Senato. Due punti in particolare avevano dettato la severa decisione di Giorgio Napolitano che, per la prima volta nel suo mandato presidenziale, si era avvalso del potere costituzionale di non promulgare una legge ed anzi rinviarla alle Camere per nuova deliberazione.
Il primo riguardava la norma dell’art. 20 relativa agli indennizzi (sin qui negati) al personale della marina militare vittima degli avvelenamenti da amianto, e le conseguenze penali per l’ammiragliato. La Camera ha sostanzialmente risolto il vergognoso problema della penalizzazione dei marinai rispetto a tutti gli altri lavoratori; ma la maggioranza ha fatto muro di copertura delle responsabilità penali di quanti, ai vertici della marina, avevano consentito per troppo tempo l’uso di questo micidiale fattore di cancro.
Con la seconda riserva Napolitano aveva denunciato la inconcepibile posizione di “debolezza” del lavoratore costretto (secondo il testo imposto dal centrodestra ed avallato da Cisl e Uil, oltre che naturalmente da Confindustria) a optare sin dal momento della firma del contratto d’assunzione, e in caso di successiva vertenza, tra eventuale ricorso al giudice del lavoro e arbitrato senza possibilità di successivo appello alla magistratura.

Anche qui, soluzione a metà. Da un lato si statuisce che il licenziamento non può essere oggetto di arbitrato, e che l’opzione – sempre e solo volontaria – deve avvenire dopo il periodo di prova e comunque dopo trenta giorni dall’inizio della prestazione. Ma dall’altro resta del tutto irrisolto il caso dei lavoratori a tempo determinato, che oramai sono la maggioranza e sono i meno garantiti. Da sottolineare comunque che mercoledì, in sede di votazioni, il governo era stato battuto (per un voto, assenti un centinaio di berluscones, pronti poi ad inventarsi “un complotto” del gruppo finiano) su un emendamento – sostanziale – in base al quale, in caso di contenzioso tra impresa e lavoratore, si decide di volta in volta se ricorrere o meno all’arbitrato. Il testo originario prevedeva, senza possibilità di deroghe, che una volta fatta l’opzione per l’arbitrato, essa valeva sempre e comunque.
Ce n’è a josa per giustificare il persistente voto contrario del Pd e dell’Idv anche al testo così revisionato, anche nella preoccupazione che al Senato il centrodestra voglia rifarsi almeno sull’emendamento di cui abbiamo appena riferito. Tanto più che – come ha rilevato il responsabile democrat in commissione Lavoro, Ivano Miglioli – sul piano generale è stata ignorata la trasparente censura del Quirinale ad un modo di legiferare per normative-salsiccia (in questa legge-arlecchino c’è tutto: nata come collegato alla Finanziaria di due anni addietro, è stata via via caricata delle norme più diverse ed anche estranee); e che, quel che è più grave per Miglioli, “non è stata demolita alla radice una concezione inammissibile dei rapporti di lavoro: governo e maggioranza teorizzano l’equiparazione del diritto del lavoro al diritti commerciale, considerano il lavoratore come merce”.

A tal punto che il relatore di maggioranza, Giuliano Cazzola (ex Cgil, ora addirittura berlusconiano), se l’era presa con Napolitano per la sua “grave iniziativa” che rischiava di “ingessare il diritto del lavoro”!

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