Lavoro, la ricaduta politico-istituzionale del messaggio di Napolitano

01 Apr 2010

Una attenta e integrale lettura del messaggio alle Camere con cui Giorgio Napolitano ha spiegato perché non promulga la legge-delega che colpisce diritti e salute dei lavoratori e perché ne sollecita un riesame e una correzione, suggerisce un paio di riflessioni di metodo e di merito che vanno anche (o forse soprattutto) ben oltre le materie contestate. Anzitutto c’è il dato, tutto politico e tutto istituzionale, dell’insistito sottolineare (“ho già avuto altre volte occasione…”) “gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo”. D’altra parte “tali inconvenienti risultano ancora più gravi allorché si intervenga in modo novellistico su codici e leggi organiche”. Una cosa è dire questo in un discorso, anche ufficiale, altra cosa è formulare il monito – duro, severo, persino irritato – in un documento che resta agli atti dello Stato, al livello più alto, quello costituzionale. (E vogliamo ricordare che lo stesso presidente ha menzionato, a mo’ di cappello del messaggio, come la delega nasca prima come stralcio di un disegno di legge collegato alla finanziaria, poi abbia avuto “un travagliato iter parlamentare”, infine un testo che all’origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si sia trasformato in una legge carica di 50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate?)
Ecco allora “l’auspicio di una attenta riflessione sul modo di procedere nel futuro alla definizione di provvedimenti legislativi, specialmente se relativi a materie di particolari rilievo e complessità”.

Che fine sortirà l’auspicio è tutto da vedere con un governo che macina un decreto dopo l’altro, una legge-delega dopo l’altra, un’ordinanza dopo l’altra e, soprattutto, una fiducia dopo l’altra. Con il risultato devastante che l’iniziativa legislativa propria del Parlamento è ridotta ai minimi termini da quella governativa: in questo primo scorcio di legislatura berlusconiana a fronte del varo di 123 provvedimenti legislativi del governo (tra cui la conversione di 45 decreti-legge) si contano 18 (diconsi diciotto) leggi d’iniziativa parlamentare. Con il che se ne va a quel paese la “leale collaborazione tra le istituzioni” sempre e daccapo ora sollecitata dal Quirinale.
Ma ci sono anche le “serie perplessità” nel merito della delega-salsiccia (e qui, per brevità, daremo per scontate le sacrosante osservazioni anche sulla mancata tutela della salute degli equipaggio militari e civili del naviglio di stato). La reazione del capo dello Stato alle norme sull’arbitrato nelle vertenze di lavoro (che, così come sono state studiate, aggirano l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) è assai rigorosa e attenta alla tutela non solo dei diritti dei lavoratori e del singolo lavoratore, ma anche dei principi costituzionali manifestamente ignorati dal governo e contro i quali si erano battuti tanto le opposizioni di sinistra in Parlamento quanto la Cgil e la stragrande maggioranza dei giuslavoristi in polemica con la sciagurata intesa Confindustria-Cisl-Uil siglata addirittura prima che la legge-delega fosse promulgata.

Nessun veto, da parte di Napolitano, all’arbitrato in sé, che anzi può essere uno strumento “apprezzabile” per snellire la contrattualistica. Ma la scelta tra giurisdizione ordinaria e arbitrato ha da essere sempre e solo “effettivamente volontaria” da parte del lavoratore che ha la “ovvia” e “massima debolezza” negoziale proprio nel momento dell’assunzione, quando si troverebbe davanti ad un bivio (in caso di licenziamento senza giusta causa, di demansionamento, ecc.) senza possibilità di tutele giurisdizionali nel caso di scelta dell’arbitro.
C’è, nel messaggio, anche e proprio un riferimento alla sciagurata intesa padronato-Cisl-Uil laddove si esclude la clausola compromissoria nel caso di licenziamento. Pur apprezzandone “significato e valore”, Napolitano rivendica il primato della politica: “decisivo” è infatti il tema di “un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale”, e quindi “solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi ‘effettiva’ la volontà delle parti di ricorrere all’arbitrato, e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva”. Senza contare le “perplessità ulteriori” dell’estensione di “tale tipo di arbitrato” anche al pubblico impiego: “in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se e a quali norme si possa derogare senza ledere i principi di buon andamento, trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’art.

97 della Costituzione”. Il ministro del Lavoro Sacconi è servito. Si vedrà in Parlamento di che pasta sia fatta la sua “disponibilità” a tener conto dei severi richiami del Quirinale.

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