Pd, niente scorciatoie

30 Mar 2010

A. BRUNI: Riflessioni sul Pd // E’ inutile girarci intorno: peggio di così non poteva andare. Anzi, tanto per toccare con mano l’abisso in cui siamo precipitati, vale la pena di notare che è altissima la probabilità di perdere la presidenza della Conferenza delle Regioni, oggi occupata da Vasco Errani. E la Conferenza delle Regioni è l’unico interlocutore istituzionale del governo in materie delicatissime come il federalismo, e cioè l’unico argine contro derive potenzialmente devastanti. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Ormai è andata così, e l’unica cosa da fare e capire come si può risalire la china.
Le analisi consolatorie non aiutano. Perché è vero che il Pdl non è messo bene e ha perso voti come e più del Pd, come è altrettanto vero che oggi Bossi è una presenza minacciosa per Berlusconi, e che Fini comincerà presto a sgomitare per farsi largo tra i due. Ma quando si vince questi sono piccoli fastidi, e comunque c’è tutto il tempo (tre anni alla fine della legislatura, senza appuntamenti elettorali intermedi) per riassestarsi. Il nocciolo della questione è che il Pd non funziona: non appare agli occhi degli elettori come un punto di riferimento solido, non è in grado di calamitare consensi dall’area della sinistra dispersa, non rappresenta un polo di attrazione neppure per il mondo centrista.

Bersani ha fatto quel che poteva, ma non è bastato.
Oggi la tentazione di fronte alla delusione elettorale è di dire: andatevene tutti a casa. Ma distruggere quel che c’è non serve a molto, se non altro perché ci vorrebbero decenni per far emergere dal corpo della società un movimento strutturato capace di rappresentare un’alternativa vera. Il compito di reagire, dunque, spetta ancora al Pd. Ma in che modo? Non ci sono risposte semplici a questa domanda.Il Pd dovrebbe dotarsi di una strategia chiara, condivisa e perseguita con coerenza. Ma non serve definirla nel conclave dei soliti noti, magari pronti a scannarsi l’un l’altro. Per capire cosa fare, il Pd dovrebbe prima di tutto ascoltare. Ascoltare i cittadini, che oggi sui loro territori trovano solo i leghisti disposti a farsi carico dei loro problemi, e altrimenti guardano la tv dominata dal Grande Ipnotizzatore.Ascoltare le espressioni della società civile, che in gran parte, oggi lo sappiamo, ha disertato le urne perché non si sente rappresentata oppure ha riversato i suoi voti sulle liste grilline. Ascoltare i possibili alleati, dalla sinistra estrema all’Udc, per vedere se è possibile costruire un’alleanza solida e coerente.Quel che il Pd non deve fare è imboccare scorciatoie: cioè cercare il demiurgo capace di risollevarne le sorti con un colpo di bacchetta magica. Le invocazioni per Vendola leader, per esempio, sono quantomeno premature. Come il centro destra, anche il centro sinistra ha tre anni di tempo per riorganizzarsi.

Tre anni che non vanno sprecati nelle rese dei conti, ma utilizzati per addestrare un esercito vincente.
Sapendo che di qui ad allora bisognerà fronteggiare un attacco pericolosissimo, che ha la sua punta di lancia nel presidenzialismo in versione berlusconiana. E qui bisogna chiarirsi presto le idee su quale modello istituzionale proporre ai cittadini. Vogliamo cominciare a chiederci se il bipolarismo funziona davvero? Queste elezioni ci dicono di no. La massiccia astensione, il voto alla Lega e quello alle liste protestatarie di sinistra denunciano la crescente insofferenza degli elettori verso una semplificazione eccessiva dell’offerta politica. Bisogna elaborare una risposta a questa insofferenza, e bisogna farlo subito. Se il Pd vuole dimostrare di esistere, deve avviare adesso questo processo. Altrimenti si faccia da parte.

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