Così il Cavaliere nasconde il fallimento

25 Mar 2010

Minzolini, quando il servilismo non paga – GFP // L’unica consolazione è che siamo ormai alle battute finali perché il copione elettorale, messo in scena da Berlusconi, è stato di un’insopportabile e indecente gravità. Un presidente del Consiglio ossessionato dai giudici e dalla tv. Che disistima il Parlamento, luogo dove “non si lavora”. Che sputa volgarità contro gli avversari. Che colleziona un ammasso di bugie e di mediocrità. Che tenta di far diventare possibile anche l’inverosimile. Tutto nel disperato tentativo di nascondere il fallimento umano e politico dei suoi ultimi due anni a Palazzo Chigi. “E’ tornato a trascinare le folle”, affermano i suoi cortigiani. Ma le immagini del Cavaliere, scomposto e digrignante, malgrado proponga l’assurdo apologo del bene che si batte contro il male, dimostrano il contrario. I suoi show tradiscono l’impaccio di un capocomico costretto a raschiare dal fondo del barile.

I suoi gesti, terribilmente disinibititi, rivelano il timore di una sconfitta. O comunque di una “non vittoria” che comprometterebbe il progetto di appropriarsi di tutte le carte in gioco, una volta superata questa prova elettorale.
E’ chiaro, dunque, che nel voto di domenica e lunedì prossimi, la posta è grossa. Berlusconi si è mosso applicando le sue vecchie ricette. Come su un set televisivo (tanto è vero che, per non farsi mancare nulla, domani sera, giusto a chiusura della campagna elettorale, terrà a quanto si dice un ultimo comizio sull’assai compiacente Tg1). Grande inventore, racconta bugie, convincendosi di dire la verità. La complessità politica, economica e sociale dei problemi, gli è, infatti, estranea. La fisiologia di un normale confronto lo irrita. Rovescia il tavolo quando vede contraddetta la sua visione proprietaria della politica. E così si aggiusta leggi e riforme. Questa volta, però, è andato fuori giri. Come un motore che s’ingrippa. Il “presidenzialismo con i gazebo” è la più esilarante delle televendite. L’elezione del premier o quella del capo dello Stato? Grande è la confusione mentale. Ma a Berlusconi non interessa il modello. Quello che gli preme è l’esercizio di un potere plebiscitario. Un presidenzialismo su misura. Confezionato per rispondere ai suoi bisogni e ai suoi interessi.

Senza regole, senza ostacoli, senza autorità di controllo e di garanzia. Dominato dal rapporto quasi mistico tra il popolo e il capo carismatico.
Sarebbe un progetto che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana. E che farebbe a pezzi il nostro tessuto istituzionale. Ma la formula berlusconiana sta perdendo la sua forza d’attrazione. Fini, che pure è presidenzialista da sempre, non segue il premier su questo terreno, e continua a sollevare temi che marcano sempre più le distanze. Lo stesso Bossi è un alleato “meno fedele” quando minaccia il sorpasso al Nord ed evita di farsi trascinare dalla spinta plebiscitaria. Il punto è che il consenso e la fede nel leader vacillano. Il partito si sta sfaldando. A livello locale, ci sono capi e capetti che si agitano, e cercano una sfera d’autonomia personale e politica. Diventa paradossale, e disperante, la situazione di un padrone che non riesce più a spadroneggiare sino in fondo. Si è aperta una contraddizione che il voto potrebbe far esplodere.

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