Di Girolamo: dimissioni e applausi E alla Camera l’ennesima fiducia

03 Mar 2010

Doppietta invereconda del centrodestra. Al Senato sono state accolte le dimissioni di Nicola Di Girolamo (su cui pende ed ora può essere eseguito l’arresto per i collegamenti con la ‘ndrangheta) ma non, come chiedevano le opposizioni, la decadenza dall’incarico parlamentare. Mentre alla Camera il governo ha posto la (ennesima, siamo oltre trenta) questione di fiducia su un decreto-legge relativo ad interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.
Nell’un caso il centrodestra ha impedito un netto pronunciamento: che fosse il Senato a cacciare Di Girolamo, indegno di rappresentare gli italiani all’estero. Di più e di peggio: quando costui ha finito di motivare le proprie dimissioni (”qualche sciocchezza”, “qualche involontaria frequentazione”) la maggioranza lo ha applaudito. Alle proteste delle opposizioni, il vicecapogruppo Pdl, Quagliariello, ha giustificato gli applausi come un “attestato di rispetto”. E tale è il “rispetto” che sedici senatori della maggioranza hanno votato contro le dimissioni e altri dodici si sono astenuti. Nel caso della fiducia posta alla Camera c’è un nuovo e più significativo segnale del malessere crescente nella maggioranza: nessun ostruzionismo era in atto che giustificasse questa decisione del governo, pochissimi emendamenti dell’opposizione (tra cui, fondamentale, quello per la revoca di uno stanziamento di cento milioni per Roma, giusto alla vigilia delle elezioni regionali), la certezza che se si fosse votato il decreto parti per parti la maggioranza avrebbe rischiato grosso.
Ma forse parlare di malessere è riduttivo.

L’aria che tira, infatti, assomiglia di più al marasma. Prendiamo il caso Di Girolamo, e la differenza tra “dimissioni” e “decadenza”. Le prime sono un atto autonomo, magari perfino ammirevole, del contestato senatore, mentre l’altra avrebbe sancito l’illegalità della sua elezione, coinvolgendo nell’esecrazione generale l’intero centro destra. Si capisce che il Pdl abbia preferito scegliere le dimissioni, ma ha dell’incredibile che al suo interno si possa trovare qualcuno che credesse opportuno respingerle. Eppure è accaduto. Quanto all’ennesima fiducia posta alla Camera, se le fratture interne alla maggioranza arrivano a minacciare anche un decreto non particolarmente spinoso, vuol dire che il malato è davvero grave.
“Questo Pdl non mi piace”, ha detto Fini, e le sue ragioni sono chiare. In un contesto politico sano, queste ragioni verrebbero affrontate dai dirigenti del partito con l’intenzione di fare tutto quel che è necessario per superarle. In questo contesto politico non accadrà. Perché ci sono le elezioni alle porte, ma anche perché un partito normale non esiste nel mondo di Berlusconi. Quindi si va avanti così, con fiducie insensate e dimissioni applaudite.

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