Il cardinale che fa politica

10 Dic 2009

Il cardinale Tettamanzi non ha bisogno di difensori. Fior di intellettuali e di editorialisti hanno fatto a gara nello stroncare con solidi argomenti le invettive della Lega nei suoi confronti. E però c’è un punto che forse non è stato sottolineato a sufficienza: ed è l’accusa di “fare politica” rivolta al cardinale. Ora, che “fare politica” possa essere un’accusa infamante è davvero singolare, specie se a scagliarla sono politici consumati. Eppure tale accusa viene lanciata regolarmente contro intere categorie, come i magistrati o i giornalisti quando osano ficcare il naso negli affari del potere. Non c’è dunque troppo da meravigliarsi: la vicenda rientra a pieno titolo nella progressiva decomposizione culturale a cui assistiamo da alcuni anni. Ma bisogna alzare la guardia, perché il degrado delle parole è cosa pericolosa: accompagna e incoraggia il degrado del pensiero. Facciamo un esempio, quello della laicità trasformata, con intenti insultanti, in laicismo: ed ecco i laici costretti in difesa (“Io sono laico, non laicista”) e perciò indotti ad ingabbiare il proprio pensiero entro limiti sempre più stretti.Allora bisogna chiarire: fare politica è un diritto di tutti. Ed esprimere opinioni significa molto spesso esprimere opinioni politiche. Non per rispolverare lo slogan sessantottino del “tutto è politica”, ma non c’è dubbio che anche parlare del Grande Fratello, in quanto paradigma della scala di valori contemporanea, è “fare politica”.

Come sono politiche le recriminazioni che si ascoltano in una coda alle Poste. E allora, dunque? Vogliamo forse vietare l’espressione delle opinioni, come accadeva nei luoghi di lavoro del Ventennio dove alle pareti era appeso un cartello con scritto “qui non si fa politica, qui si lavora”? Certo che no, risponderebbero gli accusatori di Tettamanzi. Perché, è chiaro, le chiacchiere della gente comune non fanno danni, mentre quelle di un cardinale sì.A lui, dunque, si contesta il diritto di “fare politica”, e cioè di esprimere opinioni in contrasto con quelle del governo (se fossero favorevoli, ovviamente, nessuno se ne risentirebbe). Anche se il mestiere di un cardinale è proprio questo: valutare gli orientamenti della società, e delle forze politiche che la guidano, in rapporto alla dottrina della Chiesa. Si può rispondere che anche il mondo laico (non laicista, per carità!) ha accusato la Chiesa di ingerenza su materie roventi come il testamento biologico o la tutela dell’embrione. E ingerenza c’è effettivamente stata quando alti rappresentanti della Curia hanno intimato ai parlamentari cattolici di votare obbedendo al Vaticano e non alla loro coscienza di eletti dal popolo. Ma qui bisogna fermarsi, perché non si può contestare ad un prelato di sostenere quello in cui crede e di proclamare le sue convinzioni. Tocca poi ai parlamentari il dovere di non sposare acriticamente i precetti ecclesiastici imponendoli a tutti gli altri. Resta il fatto che la libera espressione delle opinioni, anche quelle più disturbanti, è l’abc della democrazia.

E questo è “fare politica”. Un diritto nobile e fondamentale. Non bisogna permettere che diventi un insulto. Il cardinale Tettamanzi ha fatto politica? Sì. E allora?

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