Biotestamento – Legge da abolire con il Referendum

10 Nov 2009

Dopo il lungo dibattito pubblico, le posizioni a confronto in tema di testamento biologico sono chiare. E’ anche chiaro, a questo punto, che la speranza di mitigare alla Camera il testo approvato in Senato, nel senso di qualche parziale apertura alle tesi laiche, è andata delusa. Bisogna quindi prepararsi alla battaglia nel Paese dopo l’approvazione del disegno di legge, puntando a promuovere un referendum abrogativo; e sarà un referendum che potremo vincere solo con l’aiuto dei cattolici, di quanti tra loro credono nella legge fondamentale del reciproco rispetto su cui si basa lo stato liberale. Due suggerimenti in questo spirito. Il primo è che i laici propongano un modello di direttive del paziente fatto da cattolici. Ed è pronto. E’ quello che il primate cattolico della Germania, il Cardinale Lehmann, ha preparato in accordo con i rappresentanti delle chiese protestanti. Un testo che colpisce per la misericordia che lo ispira e che si chiude con parole toccanti, in cui il sottoscrittore dichiara di non volere la prosecuzione di cure inutili e chiede solo che gli sia alleviato il dolore “ anche se la necessaria terapia del dolore non esclude un accorciamento della vita”, perché, conclude, “ io voglio morire con dignità e in pace, per quanto possibile vicino e a contatto dei miei congiunti e delle persone che mi sono prossime e nel mio ambiente familiare”.Il secondo suggerimento è che si faccia luce su due affermazioni del progetto che sono dirette a farne passare il contenuto come una conseguenza di principi laici già recepiti dalla cultura giuridica italiana e internazionale, ma che sono invece mistificanti.

La prima affermazione, contenuta nell’incipit del disegno di legge, riguarda la tutela della vita umana quale diritto indisponibile oltre che inviolabile (art. 1). Il messaggio che essa intende trasmettere è chiaro: non solo nessuno può violare la vita altrui ma nemmeno il soggetto può disporre della propria vita. L’ispirazione del testo deriva dal codice penale italiano, che punisce l’aiuto al suicidio anche se richiesto dal suicida: se ne deduce, dicono i sostenitori del ddl, che è vietato anche il suicidio per omissione (non mi curo o non mangio), il che dimostrerebbe, appunto, l’ indisponibilità , nel senso di irrinunciabilità, del diritto alla vita. Ma è deduzione illegittima. perché la Costituzione ha superato possibili ambiguità del codice e ha fatto chiarezza attraverso vari enunciati: ammettendo esplicitamente all’art. 32 il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari; tutelando, nello stesso articolo, il primato del “rispetto della persona umana” come limite assoluto imposto allo stesso legislatore; affermando il principio fondamentale dell’autodeterminazione nella norma dell’art. 13.E’ tuttavia vero che l’indisponibilità è un connotato necessario dei diritti dell’uomo che è espressamente affermato anche in testi fondamentali per la cultura liberale. Si pensi alla madre di tutte le Costituzioni democratiche, ossia alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti in cui si afferma che la vita, la libertà e il perseguimento della felicità sono diritti “inalienabili”: e inalienabile significa che nessuno può prenderli ma anche che nessuno può cederli.

Sul piano culturale, etico e giuridico non si può quindi eludere il tema dell’indisponibilità. Ma anche su questo piano si può fare chiarezza, ricordando il dibattito sui limiti della libertà che ha coinvolto diversi pensatori dell’800. Può un individuo , in quanto libero, rinunciare alla propria libertà? E la risposta era negativa perché la libertà non poteva autodistruggersi. E dunque la rinuncia alla libertà non poteva essere oggetto di contratti volontari, riconosciuti e tutelati dalla legge. Analogamente, la vita non può essere mercificata, non può essere venduta, oltre a non poter essere comprata, e nessun contratto di tal genere sarebbe valido. L’indisponibilità significa insomma che il diritto fondamentale non è oggetto di cessione né di rinuncia. Ma ogni diritto umano è intriso di libertà e ciascuno è libero di esercitare un proprio diritto, senza per questo spogliarsene, nella misura e nel modo più idonei a realizzare la propria concezione di vita, al limite sacrificando la propria sopravvivenza a valori più alti, come fa chi la sacrifica per la vita altrui, per testimonianza di fede, per amore di patria. Perciò l’indisponibilità nulla ha a che vedere con il testamento biologico, ossia con il diritto di ciascuno di rifiutare quegli atti altrui che provochino il prolungamento di un’esistenza da lui giudicata senza speranza e senza vera vita, fonte soltanto di dolore per sé e per i propri cari. La seconda affermazione, mistificante fino all’impudenza, vorrebbe far passare il divieto di rifiutare nel testamento biologico l’alimentazione e l’idratazione artificiali come un principio accettato dalla cultura politica e giuridica internazionale.

Si cita in proposito (art. 5 del ddl), la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006. Orbene, tale Convenzione ( art. 25, comma 1) stabilisce che gli Stati devono “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”. E’ difficile capire come il rifiuto di discriminazione a danno dei disabili in tema di somministrazione di cibo e liquidi , che è elementare principio di civiltà e solidarietà, possa essere trasformato nel divieto che la persona stessa preveda nel testamento biologico il rifiuto dell’alimentazione e idratazione artificiali. In realtà, il diritto di prevedere tale rifiuto fa parte degli ordinamenti positivi di molti stati esteri attraverso la stessa linea logica che la cultura laica invoca per l’Italia, vale a dire: ovvia assimilazione dell’alimentazione e idratazione artificiali, in quanto incontestabili atti medici, al trattamento sanitario; e diritto di rifiutare il trattamento sanitario. Ma non va taciuto, al di là dello stesso diritto a rifiutare i trattamenti sanitari, il principio dell’habeas corpus, uno dei più basilari e antichi pilastri della civiltà giuridica. Esso esige che ciascuno di noi possa governare il confine del proprio corpo e possa quindi respingere, se crede, qualsiasi intrusione anche non terapeutica, fino a che con ciò non offenda, nel proprio corpo, la dignità dell’uomo.

E’ perciò che il legislatore tedesco, nelle note esplicative al progetto sulle Disposizioni del paziente ( recentemente poi approvato con legge del 29 Luglio 2009), precisava che ciò non può essere escluso è soltanto l’ accudimento di base: sistemazione degna, aiuto economico, igiene corporale, sollievo dalle sensazioni di fame e di sete, alleviamento del dolore, del soffocamento, della nausea, cura delle piaghe da decubito, ecc., secondo le indicazioni deontologiche relative all’accompagnamento del morente. Amareggia e stupisce che un esempio così importante sul piano culturale e giuridico come la recente legge tedesca – deliberata con voto bipartisan e ammirevole per chiarezza e umanità – non sia neppure presa in considerazione dal nostro legislatore che si accanisce (è il caso di dirlo) a promuovere un testo pletorico, contraddittorio, tecnicamente impresentabile e soprattutto sicuramente incostituzionale.
* Testo pubblicato su Il Mattino di Padova, 6 novembre 2009. Gli autori sono soci di Libertà e Giustizia

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