Kabul, una nuova strategiacontro le insidie del ritiro

18 Set 2009

Annunciare il ritiro della missione all’indomani di un attentato è esattamente l’effetto ricercato dagli attentatori. Per spingerci a passare dalle parole ai fatti aspettiamoci ora di diventare non più un obiettivo casuale dei terroristi ma un obiettivo mirato. Complimenti quindi ai Bossi e ai Di Pietro che non si rendono conto che viviamo da tempo nel villaggio globale della comunicazione e che cavalcare sondaggi effettuati sull’onda dell’emozione sarà forse furbo ma certamente è poco intelligente.
Da tempo c’è chi sostiene che il ginepraio afghano deve essere affrontato con un approccio regionale, vale a dire coinvolgendo i paesi confinanti e le potenze presenti nell’area La conferenza internazionale proposta da Brown, Merkel e Sarkozy al Segretario Generale dell’Onu, da tenersi entro l’anno e non appena si è formato il nuovo governo, deve tendere proprio a questo. Quindi, attorno al tavolo dovranno sedersi Pakistan, India, Iran – con tutte le difficoltà del caso – le ex repubbliche sovietiche e, soprattutto Cina e Russia. La Cina, nonostante sia paese confinante seppure per qualche decina di chilometri, è rimasta finora lontana da qualsiasi coinvolgimento ma quello che ora Pechino percepisce come un minaccia interna – vale a dire l’ampliamento dell’influenza musulmana nello Sinkiang – potrebbe farle cambiare idea (e un eventuale intervento cinese potrebbe contribuire ad un atteggiamento diverso del Pakistan, di cui la Cina è tradizionale alleato).

E la recentissima rinuncia americana allo scudo antimissile basato in Europa può essere vista come mossa per tirare dentro la Russia, non solo per la spinosa questione iraniana, ma anche per quella afghana.
La questione del formato riguarda ovviamente anche gli afghani. Karzai certo, ma sarebbe opportuno che ci fosse la partecipazione, all’interno della delegazione nazionale, di altre personalità politiche che hanno chiaramente dimostrato la loro volontà a prender parte attivamente al processo democratico del paese. A cominciare da Abdullah Abdullah, Ashraf Ghani e altri contendenti nella recente competizione elettorale. Poi alcune cariche all’interno della Wolesi Jirga (Camera bassa) e Meshrano Jirga (Camera alta), elette nel 2005 frutto degli obiettivi della roadmap fissata dal processo di Bonn. Infine, non escluderei alcuni capi tribali rappresentativi della Loya Jirga, l’assemblea dei capi feudali.
Per quanto riguarda i contenuti, non c’è dubbio che l’agenda della conferenza sarà articolata, spaziando dalla governance allo stato di diritto, dalla questione della sicurezza a quella dello sviluppo sociale. Ma di grande priorità sarà la decisione che l’Occidente vorrà prendere prima di tale conferenza in modo da mettere sul tavolo una strategia politico-militare chiara ed univoca.
Da parte americana, un riflessione sugli obiettivi di Enduring Freedom s’impone. Missione nata per “stanare” Al Qaeda, occore prendere atto che la situazione di oggi è ben più complessa.


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