Segreteria Pd, i programmi a confronto

30 Lug 2009

Il congresso pd, le mozioni, gli interventi // Per chi mangia pane e politica il problema di che cosa leggere sotto l’ombrellone è risolto. Basta portarsi i programmi dei quattro candidati alla segreteria del Pd, e ci sarà di che meditare durante l’ozio agostano. Non perché si tratti di documenti ponderosi: il superfavorito Pierluigi Bersani si accontenta di dodici cartelle, come il più sconosciuto dei suoi competitori, Amerigo Rutigliano. Il segretario uscente, Dario Franceschini, tracima fino a riempirne quaranta, ma le alleggerisce con la bella scrittura. Mentre Ignazio Marino, con le sue diciassette cartelle, si tiene nel mezzo, anche se le correda con altre nove di schede tematiche.La materia di riflessione sta nel mettere a confronto i programmi per scoprirne le differenze e i punti di contatto, e provare a farsi un’opinione su quale sia l’uomo giusto per il Pd del futuro. Operazione non facile, bisogna dirlo subito, perché i progetti di politica economica e sociale sono largamente sovrapponibili. In sé questo è un bene: sarebbe infatti davvero di cattivo auspicio se, nello stesso partito, convivessero idee divergenti su quale Italia che si vuole costruire. Ma, allo stesso tempo, in tal modo si riduce la contesa alla personalità dei singoli candidati e a quei pochi punti che fin qui hanno diviso il Pd fino a paralizzarne l’azione: la laicità, la questione delle alleanze e di conseguenza la legge elettorale, la forma del partito.Cercheremo qui di abbozzare un primo confronto tra i progetti dei tre candidati principali.

Ci perdonerà Amerigo Rutigliano, al quale facciamo comunque i migliori auguri.
Laicità – Il più netto sull’argomento, ed era prevedibile, è Marino, ma il suo testo non vi insiste troppo, come se non volesse urtare la suscettibilità di altri settori del partito. Per trovare affermazioni chiare bisogna andare alle schede tecniche, dove si afferma categoricamente che bisogna approvare leggi sul testamento biologico, sulle unioni civili, sull’omofobia e sulla possibilità anche per i single di ricorrere alle adozioni. Il più sfuggente, e anche questa non è una sorpresa, è Franceschini. Il segretario in carica difende la laicità con parole che tutti potrebbero sottoscrivere, ma non svela la sua personale opinione. Sul testamento biologico, che sarà in autunno nella aule parlamentari, si limita ad indicare il metodo: “Ci ascolteremo, dialogando. Ma alla fine decideremo la posizione del partito. Rispetteremo fino in fondo chi non si sentirà di condividerla, ma decideremo. Sarà il modo più onesto di interpretare la laicità del nostro partito e di rispettare il principio intoccabile della laicità dello stato”. Parole sibilline: potrebbero esprimere il timore di pronunciarsi per non perdere consensi nella corsa alla segreteria, ma potrebbero anche essere un avvertimento ai teodem che dovranno piegarsi alla volontà della maggioranza o andarsene.Bersani si colloca nel mezzo: dichiara che “il principio di laicità è la nostra bussola”, ma poi ammorbidisce l’affermazione spiegando che la neutralità di fronte alle diverse convinzioni morali e religiose “non significa indifferenza”.

Quindi aggiunge che le leggi sul testamento biologico, sulle convivenze civili e sulla libertà religiosa “vanno rilanciate senza tentennamenti nel Parlamento e nel paese”.
Alleanze – Questo è il punto su cui Franceschini è in difficoltà. Ha condiviso l’obiettivo dell’autosufficienza vagheggiato da Veltroni e non sembra aver cambiato idea. Ripete che “non torneremo indietro” alle alleanze frammentate e al centro sinistra “col trattino”. Assicura che “formeremo un’alleanza che dia agli italiani la garanzia di un programma condiviso e realizzabile”. Ma non dice con chi. Non usa la parola bipartitismo, che gli alienerebbe ogni possibile alleato, ma propone una nuova legge elettorale basata sul ritorno ai collegi uninominali, che difficilmente incontrerà il favore degli altri partiti dell’opposizione, ormai schierati sul proporzionale alla tedesca.Bersani, invece, ha le idee chiare. “Non c’è un Pd in cui confluire”, dice esortando le forze “di sinistra, riformiste, laiche ed ambientaliste” a coagularsi per diventare un partner credibile. Rifiuta il bipartitismo in nome del bipolarismo e dichiara di volere “un modello parlamentare rafforzato…una legge elettorale chiara e non stravolgente l’architettura costituzionale, da elaborare con chi crede ad un bipolarismo maturo che renda l’elettore determinante nella scelta degli eletti e del governo”. E’ una scelta a favore del modello tedesco, che va incontro alle richieste non solo della sinistra dispersa, esplicitamente indicata come l’alleato più desiderabile, ma anche dell’Udc, che pur non viene citata.Marino è il più laconico, ma sembra più vicino a Franceschini: parla di stabilizzazione del bipolarismo attraverso una legge elettorale che ripristini i collegi uninominali e dia al Pd la forza di rivolgersi “a tutti i cittadini con una sua proposta e una sua missione” cercando, attraverso questa “quelle necessarie e coese alleanze per vincere e governare”.
La forma del partito – E’ un tema molto importante, quello che ha visto lo scontro tra Veltroni e la sua teoria del “partito liquido” e i tradizionalisti propensi a strutture più tradizionali.


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