“Tutti dentro”, per un Pd aperto e plurale, radicalmente rinnovato senza cooptazioni

25 Giu 2009

La stagione congressuale del Partito democratico arriva a meno di due anni dalla nascita di un soggetto politico che ha confermato di essere un modello per l’area progressista in tutta Europa. Grazie al lavoro di gruppi dirigenti interamente provenienti dall’esperienza dei Ds e della Margherita, l’avventura del Pd ha avuto inizio, non senza entusiasmi, subito gelati però da una serie impressionante di sconfitte pesanti. Prima quella delle politiche del 2008, poi in alcuni test amministrativi, infine alle recenti europee unite ad una più ampia tornata amministrativa. Il congresso e poi le primarie del 2009 dovranno dare risposta a questa domanda: perché il Pd continua a perdere consensi? Perché pare inadatto alla sfida del governo del paese? Quale leadership e quale piattaforma politica sarebbero più adatte ad invertire finalmente questa tendenza?
Le persone che sostengono la candidatura di Mario Adinolfi e questa mozione intendono impegnarsi a costruire le condizioni di un nuovo Partito democratico che, pagato il debito di gratitudine presso le classi dirigenti di Ds e Margherita che gli hanno dato vita, renda praticabile la via della sfida per il governo del paese contro la peggiore destra populista d’Europa. Per ottenere questo risultato occorre rinnovare radicalmente il Pd utilizzando come leva della nuova classe dirigente gli strumenti di democrazia diretta, primo fra tutti le primarie, che già hanno offerto i primi frutti. Per fare ciò bisogna restituire protagonismo ad ogni singolo iscritto e poi a ogni singolo elettore del Pd, affinché avvertano che il loro impegno ha un valore, che il loro parere può incidere, secondo modelli da democrazia del terzo millennio, attenta alla quantità di idee politiche che scorrono in rete, nei luoghi di lavoro, nei territori da cui bisogna far ripartire il Pd.
1.

Per un Pd duro e vincente
Non ci interessa andare ad un congresso che sia un regolamento di conti tra componenti interne, nell’eterna lotta tra dalemiani e veltroniani con ex popolari a fare la spola. Vogliamo un Pd che sia un amalgama riuscito e dunque molto duro grazie a una ritrovata vera compattezza che lo renda potenzialmente vincente. Un Pd federale che possa immaginare anche forme autonome territoriali a partire dal Nord del paese, dove si fa fatica a rappresentare le esigenze reali di una popolazione che letteralmente fugge dal voto e in particolare dal voto verso il partito dei riformisti italiani. Il Pd deve raccogliere questa sfida, innovare anche le ritualità del proprio essere in politica, lottare casa per casa per riconquistare un consenso che è andato via via sparendo, senza mai dare segnali di controtendenza.
2. Rinnovamento radicale
Il Pd ha bisogno di un rinnovamento radicale dei suoi gruppi dirigenti, coloro che sono stati protagonisti degli scorsi decenni del centrosinistra non sono attrezzati per vincere le sfide di modernizzazione riformista del paese attraverso cui si tornerà a governare l’Italia. Clinton, Blair, Jospin, Schroeder ora fanno altri mestieri. E sono stati protagonisti di importanti vittorie dell’area progressista nei loro paesi. I responsabili di continue sconfitte dei progressisti italiani ora porterebbero il Pd al disastro. Non si tratta di non saldare il debito di gratitudine che pure bisogna avere verso alcuni dirigenti che, tra l’altro, sono ora candidati alla segreteria del Pd.

Si tratta di scegliere la via più efficace per ottenere la vittoria e il governo del paese, che è l’obiettivo conclusivo di questa stagione difficile del riformismo italiano. Insomma, semplicemente, con i vecchi dirigenti non è possibile conquistare questo obiettivo: non sono più credibili presso la maggioranza del paese, che reclama a gran voce rinnovamento. Ma il rinnovamento radicale dovrà essere conquistato e non potrà semplicemente essere elargito.
3. No alle cooptazioni
Non potrà esserci nessun rinnovamento se non conquistato attraverso un conflitto politico interno al Partito democratico su piattaforme politiche e anche linguaggi diversi. I giovani e meno giovani che attendono cooptazioni e padrinati sono destinati a ripercorrere strade che conducono a ulteriori sconfitte. Il gruppo dirigente attuale, sconfitto ma non domo, va battuto congressualmente e non blandito alla ricerca di un sostegno che sarebbe comunque condizionante. Per farlo bisogna difendere e ampliare gli strumenti di democrazia diretta interna al partito, a partire dall’utilizzo delle primarie, che dovranno essere il più aperte possibile. L’innovazione anche in termini di linguaggi e di strumenti di comunicazione e interazione con i cittadini, dovrà essere messa al centro di questo percorso conflittuale. C’è in particolare un’Italia che parla in digitale e una che vive in analogico. La prima è l’Italia del futuro che deve esprimere la classe dirigente di un partito dell’innovazione come dovrà essere il Pd.
4.

100.2.0
Il Partito democratico non deve rinnovarsi solo come gruppo dirigente, deve saper rinnovare il proprio impianto programmatico mettendo al centro della propria azione il riequilibrio generazionale delle risorse di welfare. La nostra proposta programmatica resta quella delle primarie di due anni fa ed è racchiusa in tre cifre: 100.2.0.
Cento è la quota che consideriamo credibile per sostenere il sistema pensionistico e non avviare la generazione dei nati negli Anni Settanta e Ottanta a pensioni da fame. Quota cento significa sessant’anni di età e quaranta di contributi, sessantacinque anni di età e trentacinque di contributi, e così via, fatti salvi i lavori veramente usuranti, con parificazione dell’età tra uomini e donne, come proposto giustamente da Emma Bonino. A quota cento può diventare credibile che noi trentenni e quarantenni di oggi, dopo aver lavorato quarant’anni, possiamo andare in pensione con uno straccio di assegno che garantisca la sussistenza. Altrimenti un’altra ipoteca pesantissima sarà messa sul nostro futuro e, dopo lo scippo del Tfr, ci ritroveremo definitivamente a vederci scippata una vecchiaia almeno vivibile.
Due è la percentuale del Pil italiano che vogliamo sia investita in ricerca scientifica, da subito, partendo dall’assegnazione di strumenti di decenza economica per i giovani ricercatori universitari, svincolandoli dal baronismo e dalla fame in cui versano oggi. Due è anche il numero della coppia, della giovane coppia, che deve essere tutelata in quanto tale se assume l’impegno ad essere un nucleo stabile di amore e lavoro comune all’interno della società, a prescindere dall’orientamento sessuale.

Due sono i bisogni primari da soddisfare in questo senso: casa e lavoro. E da qui deriva lo zero.
Zero. Vogliamo zero interessi sugli interessi dei mutui per le giovani coppie che acquistano la prima casa, con risorse pubbliche che si liberano dalla ristrutturazione del welfare attraverso la proposta “quota cento”, che potrà prevedere ammortizzatori sociali degni di questo nome, che trasformino la flessibilità in una condizione dell’opportunità, non nella schiavitù che è oggi per milioni di giovani lavoratori precari. Vogliamo zero vincoli all’ingresso nelle libere professioni, che devono essere libere appunto, dopo l’ottenimento dei titoli di studio per esercitarle. Vogliamo zero dubbi sul fatto che lo Stato è laico, laico, laico e lo stesso zero dubbi sul fatto che la Chiesa abbia diritto di esprimere in piena libertà le proprie opinioni, perché il partito democratico è l’occasione storica per abbattere definitivamente un anacronistico steccato. Vogliamo zero discussioni attorno al fatto che l’emergenza ambientale è una questione primaria, che se non recuperata ora nell’agenda delle priorità della politica, rischia di scaricare i suoi prezzi letali su di noi e sui nostri figli. Vogliamo zero costi della politica che dovrebbe essere costruita tutta su base volontaria, come questa candidatura e vogliamo zero caste: azzerare non solo la casta dei politici corrotti, cancellando dalla possibilità di ricandidatura i condannati con sentenze passate in giudicato, ma tutte le caste che dalle loro torri d’avorio hanno trasformato questo splendido paese in una terra del neofeudalesimo.

Vogliamo zero vincoli all’accesso alla rete, alla scaricabilità di contenuti in peer to peer per l’utilizzo personale, alla diffusione della banda larga anche attraverso il WiMax, all libertà del web. Zero mafia, zero camorra, zero ‘ndrangheta, zero omissis sui misteri d’Italia, zero rispetto per i terroristi, zero trame oscure, zero strapotere delle banche, zero conflitti d’interesse, zero dominio della politica sull’informazione e sulla Rai, zero umiliazioni per i consumatori, zero evasione fiscale, zero riduzione in schiavitù di bambini rom e giovani prostitute, zero disparità e conseguente parità piena della condizione femminile. Zero sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in qualsiasi forma, anche in quella moderna di un contratto co.co.pro in un call center a seicento euro al mese.

5. Tutti dentro
Il rinnovamento del gruppo dirigente, il rinnovamento dell’impianto programmatico non avrebbero senso politico se non si ritrovassero in una innovativa proposta sul fronte delle intese politiche, andando oltre l’idea di coalizione e aprendo, anzi spalancando, le porte del Partito democratico a gruppi dirigenti ed elettori dei radicali pannelliani, dell’ambientalismo, del radicalismo di sinistra, del socialismo, del comunismo democratico, del cattolicesimo sociale organizzato. Tutti dentro ad un nuovo Pd privo di steccati, capace di costruire poi un’intesa politica con Udc e Italia dei Valori per andare già alle regionali del 2010 invertendo la tendenza che vede il centrosinistra sconfitto ovunque a livello locale.

La sperimentazione elettorale di questo nuovo Pd di stampo anglosassone, molto ampio e accogliente nei suoi confini, potrebbe riservarci la sorpresa di aver creato il primo partito italiano togliendo dall’area dell’assenza di rappresentanza politica un segmento di elettorato con cui i punti di sovrapposizione sono più di qualcuno e le storie di molti sono assolutamente le stesse.
Ci batteremo per questo, per tutto questo, con nettezza e senza mediazioni possibili. Non è un libro dei sogni, anzi, non è un sogno. E’ un progetto per un’Italia e un Partito democratico dei liberi e dei forti.

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