Il dieci per cento della Lega frutta, eccome!, sin dall’indomani del risultato elettorale. E frutta in termini di ricatto, ormai aperto. La dimostrazione sta qui, in due comunicati diffusi stamane da Palazzo Chigi. Con il primo (ore 9,09) a firma congiunta, Bossi e Berlusconi annunciano il “comune e forte impegno” dei due partiti per i ballottaggi tra due settimane per comunali e provinciali. Insomma, “per completare l’eccezionale successo” di domenica scorsa. Il senso di queste parole? Sta nella cena ad Arcore di ieri sera tra Cavaliere e Senatùr. Tra le pennette tricolori e il branzino bollito, Umberto Bossi deve aver detto chiaro e tondo a Silvio Berlusconi di rimangiarsi l’annuncio che sarebbe andato a votare per il referendum elettorale del 21. Altrimenti altro che impegno comune per i ballottaggi: senza i voti di Bossi al Nord il Pdl resta a secco nei ballottaggi.
Una forzatura a pensar male? Niente affatto. Passa appena un’ora e sette minuti dal primo comunicato ed ecco che da Palazzo Chigi parte un secondo comunicato (ore 10,16), questa volta del solo Berlusconi. Il quale, tanto per cambiare, rivolta la frittata, si rimangia l’annuncio di andare a votare il 21, spiega che “non appare oggi opportuno un sostegno diretto al referendum”. E spiega, con un triplo sarto mortale carpiato e con una sintassi che ricorda quella indimenticata dei vecchi dc, che “la riforma elettorale debba essere conseguente alle da tutti auspicate riforme del bicameralismo perfetto”.
Che vuol dire questa giravolta? Che il Cavaliere – sempre più ostaggio del capo della Lega – ha piegato la testa alla minaccia di Bossi, al suo aperto ricatto documentato in modo plateale dal non calcolato succedersi dei due comunicati.
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