Dimissioni dopo la condanna? Il Pd si astiene

20 Mag 2009

Dunque, riassumiamo. Lunedì 11 maggio, su questa pagina, esce la notizia praticamente inedita che l’ex segretario generale della Farnesina, Umberto Vattani – ancora così potente da essere insediato nel 2005 alla presidenza dell’Istituto per il commercio estero (Ice) ed essere stato appena riconfermato da Berlusconi nello stesso incarico – è stato condannato dal tribunale di Roma a due anni e otto mesi di reclusione, e inoltre all’interdizione dai pubblici uffici per lo stesso periodo. Assai imbarazzante l’accusa confermata dai giudici: peculato, per aver fatto dai cellulari di servizio più di duecento telefonate assolutamente private, del tutto estranee all’attività d’ufficio, per migliaia di euro. Doppiamente imbarazzante la contestazione, ché le telefonate “personali e riservate” (durata complessiva: cinquantadue ore per un costo di migliaia di euro) erano dirette ad alcune collaboratrici nel 2003 quando Vattani era a Bruxelles come capo della rappresentanza permanente italiana presso l’Ue. Che si trattasse, come si mormora, di telefonate hard poco importa di fronte – ricordavamo – a quel che accade oggi con veline, minorenni e “ciarpame senza pudore”.Era lecito ritenere che l’ambasciatore Vattani, pur di fronte ad una condanna non ancora passata in giudicato e quindi passibile di annullamento nel prosieguo dell’iter giudiziario, decidesse di autosospendersi dall’incarico di responsabile di un ente pubblico (e lui è stato condannato anche e proprio all’interdizione dai pubblici uffici) che gestisce 17 rappresentanze in Italia e 115 in 87 paesi del mondo.

Non lo ha fatto. Né si sono mossi il ministro Claudio Scajola (che dal dicastero dello Sviluppo economico controlla l’Ice) e/o il suo viceministro Adolfo Urso che ha proprio la delega per il Commercio estero. E questi non-gesti già sono gravi, almeno sul piano morale.Se non che due giorni dopo la pubblicazione dei nostri rilievi è avvenuto un fatto politico di non lieve rilevanza: la nomina di Vattani è passata al vaglio della commissione Industria del Senato cui tocca un parere non vincolante sulla decisione del governo; e mentre la maggioranza di centrodestra ha detto sì, i commissari del Pd si sono astenuti. Perché l’astensione?, ha chiesto l’Unità (giornale in cui mi onoro di aver lavorato quaratatre anni) al senatore democratico Filippo Bubbico. “Per rimarcare la nostra distanza dalla scelta del governo di cui si assume tutta la responsabilità” è stata la prima parte della sua risposta. E sin qui siamo all’ovvietà: tanto il governo, e solo esso, ne è totalmente responsabile che il parere della commissione (ed il futuro parere della analoga commissione della Camera) è solo consultivo. Il punto è: perché allora l’astensione? che significato ha il “ni”? Alla decisione del governo (e ad una decisione così delicata, di fronte ad una condanna così imbarazzante) si dice “sì” o “no”. Senza proporsi vie di fuga. Già, perché c’è una seconda e più sorprendente parte della dichiarazione all’Unità del sen. Bubbico: “Ho segnalato la questione alla commissione Giustizia perché valuti se l’ambasciatore può essere nominato alla guida di un ente pubblico”.

Intanto la commissione Giustizia non ha titolo regolamentare per intervenire. E poi la stessa iniziativa di chieder conto (improprio) della nomina ad altro (improprio) organismo tradisce almeno qualche evidente preoccupazione. Ha tenuto conto, per esempio, il sen. Bubbico di una circostanza non capitale ma certo illuminante come la contemporanea condanna a dieci mesi di reclusione (per falso e favoreggiamento di Vattani) di tale Bernardo Giuseppe Salaparuta, dipendente della rappresentanza a Bruxelles di cui Vattani era il capo? Costui aveva cercato di fornire un alibi-aiutino all’ambasciatore con “giustificazioni” –ritenute mendaci dai giudici – di quella logorrea telefonica privatissima. Saremmo grati al sen. Bubbico di una risposta chiarificatrice. L’aspettiamo.

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