Referendum, così il Pd è finito in trappola

30 Apr 2009

E così chi sperava che poi, alla fine, il referendum elettorale sarebbe passato senza danni è servito: se vince il Sì sarà il mostriciattolo derivato dal taglia-e-cuci referendario la legge elettorale che ci terremo, con gran gioia dell’eterno vincitore Berlusconi e con sommo smacco di chi pensava di incastrarlo ed è finito incastrato. Lo dice Fabrizio Cicchitto, e c’è da credergli: se dal referendum nasce un meccanismo che consegna il premio di maggioranza al partito che prende più voti, e cioè il Pdl, perché mai il Cavaliere dovrebbe spontaneamente rinunciare ad un simile regalo, che lo sbarazza da alleati ingombranti come la Lega? Ovvio che non lo farà. E buonanotte a tutti gli oppositori.
Si fa fatica a capire come abbia fatto il Pd a cacciarsi in un simile pasticcio. Non è stato lui a promuovere il referendum, anche se molti dei suoi aderenti lo hanno sostenuto, ma questa è l’unica colpa che non può essergli addebitata. Da allora in poi ha cercato con mille furbizie di utilizzare l’occasione referendaria a suo vantaggio, ma sempre con esiti controproducenti. Anche la scelta di pronunciarsi per il sì è un esempio di furbizia suicida. Perché l’argomento, esposto a chiare lettere da D’Alema, che dopo un’eventuale vittoria dei Sì sarebbe stata inevitabile una riforma della legge elettorale, terreno sul quale si sarebbe aperta una crepa nella maggioranza e il Pd avrebbe potuto lavorare di concerto con la Lega e l’Udc, si è subito rivelato una pistola scarica.

Se vincessero i Sì, infatti, la realtà sarà ben diversa: Berlusconi potrà anche trattare una nuova legge, ma alle sue condizioni, e cioè senza cedere neanche un grammo del potere conquistato. La Lega, che oggi è l’alleato più minaccioso perché senza di lei il governo non ha la maggioranza in Parlamento, si troverebbe disarmata: se aprisse la crisi e si arrivasse alle elezioni, queste si svolgerebbero con la legge derivata dal referendum, e cioè consegnerebbero tutto il potere a Berlusconi. Un capolavoro.
A dir la verità, il Pd non si aspettava che Berlusconi avrebbe annunciato di votare sì. Pensavano che non ne avrebbe avuto il coraggio, vista l’ostilità di Bossi e (forse) dei superstiti finiani. Ma il Cavaliere, al contrario, non ha perso l’occasione. E così ha ottenuto un doppio risultato: ha fatto sapere a Bossi che se tirerà troppo la corda finirà per strangolarsi, e ha avvertito i suoi di tenersi pronti alla campagna referendaria per il Sì.
Ora tutto si giocherà su un filo sottilissimo: se la Lega abbasserà le pretese e si accontenterà di aver incassato il federalismo (ma ricordiamoci che si tratta di una legge delega, e cioè che la sostanza deve ancora essere scritta con i decreti delegati), allora Berlusconi non metterà tutta la sua potenza di fuoco nella campagna per il Sì. Ma se Bossi si permettesse ancora di alzare la voce, allora tv e giornali si scatenerebbero nella campagna elettorale referendaria. Semplice ed efficace.
Perché, bisogna sottolinearlo, il punto centrale è il raggiungimento del quorum: se ci sarà, la vittoria dei Sì appare scontata.

L’abbinamento al secondo turno delle amministrative non è un traino significativo per il quorum: si tratta di una consultazione che registra abitualmente un consistente calo dei votanti, e per di più interessa una quota piccola di elettori. Se il premier non se ne occuperà è dunque assai probabile che il referendum fallisca. Ma se si scatenasse la prospettiva cambierebbe radicalmente.
Esiste una contromossa praticabile per Bossi? Sembra di no. In teoria potrebbe aprire la crisi adesso, perché solo la convocazione di elezioni politiche anticipate può rinviare un referendum, come sa bene Mastella che soprattutto per questo fece cadere Prodi. Ma oggi la situazione è diversa: sarebbe in grado il Carroccio di buttar via il federalismo appena approvato e far cadere un governo sulla cresta dell’onda? La punizione degli elettori potrebbe essere durissima. Senza contare che i tempi non ci sono, tra le elezioni europee già convocate e l’estate che incombe.
In tutto questo il Pd è ininfluente. Visto che si è pronunciato per il Sì non può certo virare bruscamente e sostenere le ragioni del No. Né è nelle sue tradizioni battersi per l’astensione. Può solo stare a guardare, magari con i brividi lungo la schiena. Non resta che sperare che gli elettori siano più saggi di tutti i protagonisti di questa amara vicenda.

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