Referendum: un dilemma che lacera

20 Apr 2009

REFERENDUM A COSA SERVE E QUANTO CI COSTA // Più si avvicina il referendum e più si fa fatica a tenere i nervi saldi e la mente fredda. Così, tra anatemi e capziosità contrapposte, si rischia di perdere di vista il nocciolo della questione: cioè che il referendum è uno strumento insostituibile di democrazia diretta, in base al quale i cittadini possono essere chiamati a pronunciarsi su temi a cui il Parlamento, espressione della democrazia delegata, ha dato risposte che possono non essere in sintonia con l’opinione prevalente. In questo senso, dunque, è chiaro che l’istituto referendario è un bene prezioso che merita di essere salvaguardato. Ed è altrettanto chiaro che ciò che sta accadendo in questi giorni intorno ai tre quesiti sulla legge elettorale ha in sé, per usare le parole di Emma Bonino, qualcosa di eversivo. Se passasse l’idea che una consultazione elettorale, e il referendum lo è a pieno titolo, si può rinviare perché così fa comodo a questa o quella forza politica, usciremmo dalla democrazia per entrare in qualcos’altro. Tanto che è difficile dare per scontato che il Quirinale possa firmare una legge che posticipi di un anno questo referendum.L’altro elemento che, da qualche tempo a questa parte, falsifica ogni campagna elettorale referendaria è la battaglia per il raggiungimento del quorum. Tutti sanno di che si tratta: se un referendum non viene votato dalla maggioranza degli aventi diritto è nullo.

Tuttavia nessuno aveva avuto il coraggio di propagandare questa opzione, finché l’entrata a gamba tesa del Vaticano nella consultazione sulla fecondazione assistita non l’ha sdoganata. La conseguenza adesso è che ogni partita referendaria è truccata, perché è molto più facile ottenere la nullità del referendum alleandosi con quel 20-25 per cento di elettori che abitualmente diserta le urne che non raggiungere la maggioranza di No. Ma così lo stesso istituto referendario viene snaturato, perché manca la discussione sul merito del quesito.
Per risolvere il problema sarebbe necessaria una riforma. Per esempio bisognerebbe abolire il quorum. E poichè questo nelle intenzioni del legislatore voleva rappresentare un deterrente verso il proliferare di quesiti cervellotici, si potrebbe sostituirlo con altri strumenti, come l’aumento delle firme necessarie per proporre un quesito al vaglio della Corte Costituzionale. In questo modo l’interesse delle forze politiche sarebbe quello di propagandare le ragioni del Sì e del No, senza scappatoie di sorta. E le polemiche sull’”election day” perderebbero ogni ragion d’essere. Anzi, si farebbero molti più accorpamenti, visto l’indubbio risparmio per le casse dello stato.
Inutile discutere sul perché siamo arrivati a questo punto: c’è stata sicuramente un’inflazione di referendum, e c’è sicuramente una disaffezione degli elettori per i verdetti referendari spesso disattesi. Ma questo ormai conta poco: di certo c’è che ci vorrebbe una riforma.

Che, altrettanto certamente, non si farà, visto il contesto politico in cui ci troviamo.
E con ciò arriviamo a questo referendum, e cioè alla legge elettorale. Diciamoci la verità: se raggiungesse il quorum e vincessero i Sì (come dicono i sondaggi), ne verrebbe fuori un quadro catastrofico. L’aspetto più scandaloso delle legge attuale, e cioè quello di consegnare ai capipartito il potere di decidere gli eletti, non sarebbe toccato perché la natura abrogativa del referendum gli impedisce di incidere su questo punto. Invece il premio di maggioranza verrebbe attribuito a una sola lista, e non più alla coalizione. Il che significa, oggi, rendere Berlusconi onnipotente e consegnargli gli strumenti per vincere sempre, e magari cambiare da solo la Costituzione. L’unico aspetto positivo sarebbe la fine delle candidature multiple, ma si tratta di ben poca cosa in confronto a tutto il resto.
Che fare, allora? Rispondere è difficile. Per chi crede nella democrazia il rispetto della legalità viene prima di tutto. Ma in questo caso il rispetto della legalità equivale al suicidio. Si può ragionevolmente credere a ciò che ha sostenuto D’Alema, e cioè che il rinvio al prossimo anno favorirebbe una riforma della legge elettorale? Francamente no: la Lega sosterrebbe una nuova legge alla tedesca, come l’Udc, il Pd si spaccherebbe, e Berlusconi avrebbe buon gioco a temporeggiare fino al riproporsi, tra un anno, della stessa situazione che oggi stiamo vivendo. In più si sarebbe costituito un precedente che ammette il rinvio per legge di una consultazione elettorale.
Scenario desolante.

Il male minore, allora, sarebbe quello di tenere il referendum il 14 giugno. Andrà deserto, probabilmente, e sarà un altro colpo per l’istituto referendario. Ma che altro possiamo sperare?

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