Se il parto cesareo è un affare per le cliniche private

14 Apr 2009

Una salutare iniziativa unitaria è stata presa in Senato da donne di tutti i gruppi che hanno sottoscritto una mozione che vuole impegnare il governo ad adottare (e fare adottare da Regioni e Province autonome) misure idonee ad imporre “un appropriato ricorso al parto con taglio cesareo”. Appropriato ricorso sta per, in parole più crude ma appropriate, lotta allo scandaloso abuso – in larga misura solo per specularci sopra – del cesareo. D’altra parte è la stessa mozione a denunciare l’abuso citando le cifre del rapporto “Osservasalute-2008”. Una premessa è d’obbligo, e peccato che non compaia nella mozione. La premessa è questa: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito da tempo che “in nessuna regione geografica [del mondo] si giustifica una percentuale di parti cesarei superiore al 10-15%. Ebbene, sapete qual è la percentuale nazionale italiana di cesarei denunciata anche nella mozione? È del 38,3%, con picchi che toccano il 60%! In testa all’abuso sono tre regioni: Campania (appunto al 60%), Basilicata (54,4%) e Sicilia (52,4%). In coda, cioè dove la tecnica del taglio cesareo è meno praticata, altre tre zone: la Provincia autonoma di Bolzano (23,4%), il Friuli-Venezia Giulia (23,9%) e la Toscana (26,1%). Che forse le partorienti napoletane o siciliane hanno più problemi nel partorire delle bolzanine o delle senesi? Ma c’è di più e di peggio: alla faccia delle invocazioni (ripetute ovviamente nella mozione) per il parto fisiologico magari assistito dall’anestesia epidurale che allevia i dolori del parto naturale e che non fa alcun danno (altra giusta raccomandazione contenuta nel documento), il primato dei parti cesarei è conquistato da alcune cliniche private romane.

La fonte della denuncia è assolutamente oggettiva e del tutto insospettabile: si tratta del Dipartimento di epidemiologia della Asl RmE che nell’aprile dell’anno scorso ha denunciato le dimensioni parossistiche che il fenomeno ha assunto in quattro case di cura che vanno per la maggiore e che sono vere e proprie fabbriche di cesarei. Il primato è della clinica Quisisana (in cui ha ancora le mani in pasta quel fascista di Peppino Ciarrapico, fatto senatore da Silvio Berlusconi per contrastare la candidatura di Storace): su 290 bambini che hanno visto la luce in quella clinica, ben l’86,9% è nato col cesareo. A Villa Flaminia stessa pratica sul 75,6% delle 483 nascite; alla Salvator Mundi su 265 parti il 66,42% è stato effettuato chirurgicamente, mentre a Villa Pia su 748 neonati il 58,16% è uscito con il bisturi dalla pancia delle madri!Francamente spiace quindi che tra le cause da combattere per ripristinare una media più alta di parti fisiologici (secondo la già riferita raccomandazione dell’Oms) la mozione non indichi l’interesse speculativo – delle cliniche private soprattutto, e di una sostanziosa parte del corpo medico – per il cesareo, ma solo alcune altre motivazioni pur da mettere nel conto: il timore cioè di molti medici di eventi legati alla cosiddetta “malpractice” (in sostanza la paura di non saper controllare con scienza e coscienza lo sviluppo di un parto naturale), la carenza di informazioni alle donne in fase pre-parto, una diffusione capillare della conoscenza e quindi del potenziale uso dell’anestesia epidurale.

Da apprezzare invece che, tra gli impegni cui la mozione vincola il governo, ci sia quello della “promozione, come avviene per le donne italiane, dell’accesso alle cure ambulatoriali e presso gli ospedali del servizio sanitario nazionale anche per la donne immigrate”, senza distinzione tra le immigrate con permesso di soggiorno e quelle bollate di “clandestinità”.
PS. Per informazione dei lettori ecco, regione per regione (comprese le province autonome), la percentuale dei parti cesarei sul complesso delle nascite: Piemonte 31,4%; Valle d’Aosta 30,4; Lombardia 28,2; Provincia autonoma di Bolzano 23,4; Provincia autonoma di Trento 27,2; Veneto 28,9; Friuli-Venezia Giulia 23,9; Liguria 34,8; Emilia-Romagna 30,4; Toscana 26,1; Umbria 30,7; Lazio 41,1; Abruzzo 43,1; Molise 48,9; Campania 60; Puglia 47,7; Basilicata 54,4; Calabria 43,1; Sicilia 52,4; Sardegna 38,9. La mozione presentata a Palazzo Madama è contenuta nell’Allegato B della 187ma seduta del Senato della Repubblica del 2 aprile 2009 alle pagine 42-45. Per ulteriore informazione: alcuni anni fa l’on. Alberta De Simone, allora deputata dei Democratici di Sinistra e poi presidente dell’amministrazione provinciale di Avellino, aveva presentato un disegno di legge per incentivare il cosiddetto “parto dolce”, l’esatto contrario quindi dell’intervento chirurgico. L’esame della proposta cominciò in commissione ma fu interrotto dallo scioglimento anticipato della legislatura. Quella proposta non è stata ripresa da alcun parlamentare.

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