Federalismo: un salto nel buio

27 Gen 2009

E’ permesso dire un paio di banalità? Allora eccole. La prima: il federalismo fiscale è come un coltello, in sé non è né buono né cattivo, dipende da come lo si usa. La seconda: nessun amministratore di condominio dotato di raziocinio si imbarca in una ristrutturazione senza avere la minima idea di quanto gli costerà, specie se il condominio è in serie ristrettezze.Se queste due ovvietà sono vere, allora è incomprensibile non solo l’approvazione da parte del Senato del progetto fortissimamente voluto dalla Lega, ma anche che di federalismo fiscale si parli nelle aule parlamentari. Quando il ministro Tremonti ha confessato di non poter informare i senatori del costo della legge perché le troppe variabili in campo gli avevano impedito di fare i conti, il dibattito avrebbe dovuto essere immediatamente sospeso in attesa di poter valutare dati, anche orientativi, in base ai quali decidere orientamenti e correzioni. E’ vero che la materia è complessa e che tutto dipende dai decreti attuativi con i quali il governo renderà operativa la legge. Ma si possono sempre delineare simulazioni e su quelle calcolare costi e benefici delle varie strade praticabili.Invece niente. Il Senato è andato avanti fino al voto come se non si fosse accorto dell’incongruenza. Se n’è accorta la Ue, che ha segnalato, sia pure con garbo come si conviene in diplomazia, i rischi dell’operazione. Se ne sono accorti i commentatori, che tuttavia hanno preferito soffermarsi sulle implicazioni politiche della vicenda piuttosto che sul merito della stessa.Ed eccoci al vero problema: la politica o, meglio, i rapporti di forza che la governano.

La ragione di tutto è qui. La maggioranza ha pagato la cambiale messa all’incasso dalla Lega. Il Pd si è astenuto per restare nel gioco e incassare il ringraziamento di Bossi, impreziosito dalla subitanea irritazione di Berlusconi. Tanto più che, se le cose si mettessero male, potrà sempre rivendicare il fatto che al Senato l’astensione vale voto contrario. Tutti, poi, avranno pensato che ci sarà tempo per mettere i puntini sulle i durante il dibattito alla Camera. Qualcuno potrà anche essersi sentito rassicurato dal fatto che, se anche il federalismo fiscale passasse “al buio”, poi ci penserà il governo, con la stesura dei decreti attuativi, a mettere le cose a posto: fiducia esiziale, perché una volta uscito dalle sedi parlamentari, il dibattito smetterà di essere pubblico e affonderà nelle tenebre dei giochi di forza interni alla maggioranza.Eppure l’esperienza italiana dovrebbe insegnare molte cose. Per esempio il fatto che le riforme fatte in nome dell’efficienza si sono spesso trasformate in uno spreco di risorse. Le leggi che hanno trasformato i presidenti di regione in “governatori” hanno sì reso più stabili i governi delle regioni, ma hanno anche moltiplicato i centri di spesa. Non sempre, ma abbastanza per costituire un precedente preoccupante. Il federalismo fiscale dovrebbe porre rimedio proprio a questo guaio? Bene, ma se è così perché rinunciare a ragionare sulle cifre, sia pure ipotetiche?Questo non significa essere ostili al federalismo fiscale.

Se ben studiato e ben fatto, può mettere ordine nel disastrato panorama finanziario italiano. Ma se invece sarà poco studiato, e sarà realizzato in base agli appetiti di questa o quella forza politica rischia di fare danni gravi. Ed è inutile sottolineare che l’Italia non si può permettere di peggiorare lo stato dei suoi conti. Eppure le forze politiche, tutte le forze politiche, sembrano insensibili a questi argomenti. Preferiscono continuare nelle loro faccende. Forse Berlusconi spera di ottenere in cambio da Bossi il via libera alla agognata legge antiintercettazioni, forse Veltroni spera di incassare il sì alla riforma elettorale per le prossime elezioni europee. Tutto comprensibile. Ma gli italiani che c’entrano?

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