Aspettando Achab

16 Gen 2009

Un piccolo “diario della delusione crescente, dell’esaurirsi della fiducia”. Aspettando Achab è il libro che Sandra Bonsanti ha scritto a ridosso delle elezioni americane: “un tragitto che passa dalla politica romana alla Calabria e infine a Chester, Pennsylvania dove ho avuto la fortuna di essere, negli ultimi giorni della campagna elettorale americana, l’ultima arrivata fra i volontari di Obama”. Anticipiamo la prefazione.
Il 25 ottobre scorso guardavo in tv la manifestazione del Circo Massimo e preparavo le valigie per un breve viaggio a New York.
Da tempo mi ero messa in testa di non mancare le elezioni americane per cercare di capire un po’ meglio dove va il mondo.
Il mondo di là dai nostri confini.
Splendida giornata, il 25 ottobre. Il “popolo” del Pd allegro, immenso, colorato, appagato, il leader sulla pedana fra la sua gente, e sullo sfondo la nomenklatura dal sorriso forzato, tra giovani comparse comprese del ruolo.
Un bel discorso, Walter con le parole ci sa fare, sa improvvisare, sa scrivere. Fu il mio “compagno di banco” alla camera, nella legislatura ’94-’96. Avevo accettato di candidarmi da indipendente, mettendomi in aspettativa da “Repubblica”, per fare la legge sul conflitto di interessi. Ma quella legge non si fece né allora né mai e del resto Luigi Berlinguer, il mio capogruppo, mi aveva detto: “Il conflitto di interessi è la sua contraddizione, non dobbiamo esser noi a risolvere i problemi di Berlusconi.

Se non capisci questo non capisci la politica”.
In aula Walter scriveva sempre, articoli per l’Unità, libri, interviste. Non guardava mai nel vuoto, aveva sempre un testo e una penna in mano. Un giorno gli dissi che sarebbe stato un grande direttore del Corriere della Sera.
Invece il 25 ottobre era lì, davanti al gobbo elettronico, e parlava al suo popolo.
Non avevo creduto che i problemi della debolezza della minoranza si sarebbero risolti con quell’appuntamento annunciato quattro mesi prima e non credo oggi che essi siano diminuiti dopo il Circo Massimo.
L’opposizione al governo Berlusconi è affidata ad alcuni dirigenti del partito scelti per correnti e chiamati ministri ombra. Hanno delle vere e proprie segreterie che fanno capo ai vari “ministeri del governo ombra”. In un certo senso Veltroni rischia di essere un premier ombra e l’opposizione l’ombra dell’opposizione. Quando, in campagna elettorale Walter annunciò la fine della stagione dell’odio e l’arrivo della stagione del dialogo, lo criticai: Il dialogo si pratica, quando è necessario si è sempre fatto, ma non si predica, non si teorizza prima delle elezioni, perché c’è il rischio di confondere i tuoi elettori con un messaggio ambiguo, che sembra dire al tuo avversario: fatti pure sotto, io ti lascio fare. E poi non è l’odio che ha animato tanti non berlusconiani in questo ventennio, bensì una sorta di rifiuto culturale oltre che politico, una presa di distanza dal liberalismo inteso nel senso di esser liberi di fare quel che ci pare, dall’uomo deciso a schiacciare quel po’ di attaccamento ai principi della democrazia a cui gli italiani cominciavano ad affezionarsi.


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