Tre possibili strade per il Pd

12 Gen 2009

Se di scissione si comincia a parlare in pubblico, e cioè sui giornali, vuol dire che il Pd è messo proprio male. Perfino peggio di Rifondazione comunista. Le scissioni infatti avvengono quando in un partito arriva a maturazione uno scontro politico tra linee diverse, che alimentano lo slancio verso la costruzione di progetti contrapposti. Questo sta accadendo nel Prc e, in qualche modo, rappresenta la passione che continua a pervadere quell’area. Nel Pd non è così. Qui si allude alla scissione, la si ventila, si lascia che aleggi. Perché? Dove sono i progetti contrapposti? E’ forse un progetto l’alleanza con Casini o quella con la sinistra radicale?
La verità è che anche per scindersi ci vuole energia e vitalità, e nel Pd non si vedono né l’una né l’altra. Così l’unico obiettivo percepibile di tutte le fazioni in lotta sembra essere quello di indebolire la già esangue leadership veltroniana nel tentativo di conquistare fettine di potere. Ma quale potere? Su chi e su che cosa? Domande che evidentemente nessuno si pone. Allo stesso improbabile esercizio appartiene l’abbondante fioritura di candidati alla segreteria del Pd, con la recente new entry di Renato Soru. In questo caso è possibile che ci sia più malizia giornalistica che la reale volontà dell’interessato, almeno nei tempi brevi. Ma se i giornali si sono messi a caccia del suo successore è chiaro che Veltroni, a torto o a ragione, appare inconsistente. E la sua trionfale elezione alla segreteria da parte del popolo della primarie finisce per essere più un fattore di paralisi per il partito che non un punto di forza per il leader.
E allora, schematizzando, il Pd ha davanti a sé tre strade.

La prima, che è anche la più desiderabile per chi non voglia vedere il Pdl al potere per i prossimi decenni, prevede che Veltroni riprenda in mano la situazione e promuova la nascita di un partito vero, selezioni una nuova classe dirigente guardando alla capacità delle persone e non al loro tasso di fedeltà acritica, ridia motivazioni all’elettorato deluso e disperso.
La seconda strada è quella della scissione, e potrebbe comunque essere un fattore di chiarezza se i protagonisti mettessere in campo idee, proposte e strategie sulle quali confrontarsi, dividersi e magari allearsi dopo la necessaria discussione.
La terza strada è la peggiore ma, purtroppo, è anche la più probabile. Prevede che tutto vada avanti come adesso, fino alla morte per sfarinamento del Pd e di tutti i suoi notabili. Morte politica, s’intende, perché è prevedibile che i notabili si diano battaglia fino all’ultimo, difendendo ciascuno il proprio minuscolo regno, finché la noia dell’uditorio non finisca per relegarli tutti nell’ombra della dimenticanza.
La cosa più strabiliante di tutta questa storia è che il Pdl, a guardar bene, non sta messo molto meglio, almeno nella sostanza. Bossi cerca di rosicchiare consensi a Berlusconi, Fini lo sgambetta ad ogni occasione cercando di accreditarsi alla successione. Se il Cavaliere non appare come il Veltroni del centro destra è solo perché è incommensurabilmente più forte del suo omologo dell’opposizione. Lo è per il potere che concentra nelle sue mani, e lo è nell’immaginario collettivo.

Aiutato dall’immagine cannibalica che il centro sinistra dà di se stesso e dall’incapacità del Pd di offrire all’elettorato non solo ricette alternative a quelle, peraltro inesistenti, della maggioranza, ma anche un’aura di minima autorevolezza alle contestazioni di ciò che viene dal governo.
E’ mai possibile che nessuno, nel Pd e nei suoi dintorni, se ne renda conto? E’ possibile che sia scomparso ogni barlume di intelligenza politica? Se c’è qualcuno in grado di smentire queste domande si faccia avanti. Gliene saremo grati.

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