Perché non possiamo fare a meno della laicità

05 Dic 2008

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

Nel testo della Costituzione non c’è il riferimento alla laicità e nemmeno alla libertà di coscienza. Si può discutere sul perché questa che viene considerata la base di tutte le altre libertà non è menzionata, ma lasciamo da parte il discorso, per il momento: certo, se si volesse fare una riforma della Costituzione ben fatta si potrebbe tentare di inserire la tutela della libertà di coscienza. Il testo della Costituzione non contiene nemmeno la parola “laicità”. La Costituzione non è la somma di leggi costituzionali, di proposizioni autonome, l’una scissa dall’altra, è invece un sistema, è per l’appunto una costituzione. Si vada alla radice latina constituere che vuol dire mettere insieme, formare, dare assetto e non si dà assetto con una somma di impulsi staccati l’uno dall’altro. La Corte ha ragionato sull’insieme di norme e ha detto che la Costituzione contiene in sé il principio supremo della laicità, cioè un principio che non può essere cambiato nemmeno con una revisione della Costituzione. Perché principio supremo? C’è una ragione storica profonda. Il rapporto tra Politica e Religione, Chiesa e Stato, è un rapporto che troviamo fin dagli albori delle comunità politiche. Roma aveva la sua religione, la religio civilis; c’è un bellissimo articolo di Montesquieu di una decina di pagine, dove si fa l’elogio della religio civilis romana, in quanto sarebbe l’unica religione che ha accompagnato il contenuto della formazione politica senza alimentare l’intolleranza.

Ma questo problema della commistione sta proprio agli albori; c’è un testo perduto di Marco Terenzio Varrone, Antiquitates, in cui si distinguono tre tipi di religione, di teologia: la religio civilis, la religio naturalis e la religio mitica. Prima di Varrone l’avevano già teorizzato altri. I testi sono andati perduti, ma si ricostruiscono dagli scritti di Sant’Agostino. Nei capitoli sesto e settimo del primo libro del De civitate, Sant’Agostino per contrastare le opinioni dei pagani, ci dà definizione precisa dei tre tipi di religione: la religione mitica è quella che si rappresenta nei teatri, dove si raccontano le gesta di Giove e di Giunone, gli attori si rivolgono agli spettatori con lo scopo di farli divertire; la religio naturalis, riportata in onore di recente da papa Benedetto XVI, perché è la scienza della natura di Dio, che è competenza dei filosofi. Il papa attuale vuole unire religione e filosofia, logos e fede. Poi c’è la religio civilis che si rappresenta nei templi, in chiesa diremmo oggi, i sacerdoti ne sono i soggetti principali che vogliono così rafforzare la compagine politica. Agostino se la prende con Varrone, perché sembrerebbe che questi sostenga la tesi che si fonda il potere della città e poi per rafforzarlo s’inventa la religio. Ma Agostino non poteva accettare che si facesse della religione un’ancella della politica, una conseguenza, uno strumento della politica. Sosteneva l’opposto: prima c’è Dio, la religione, la fede e poi c’è la politica e la città.

E’ la tesi della prevalenza della religione sulla politica. Noi potremmo sostenere come Thomas Mann in Giuseppe e i suoi fratelli: nascono insieme, “si scambiano la veste”, per usare l’espressione dell’autore. La storia dell’occidente, almeno, ha avuto le sue tappe ed è approdata all’idea della separazione, della distinzione. La posizione cristiano-cattolica naturalmente insiste molto sulla distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio. Anche se, se ci riflettiamo, questa è una formula totalmente vuota di contenuto, perché il problema fondamentale sarebbe quello di sapere cosa è di Dio e cosa di Cesare e chi può dire, quale autorità può definire. Perché si potrebbe sostenere che tutto è di Dio e nulla è di Cesare. La formula evangelica è costantemente richiamata in tutte le encicliche politiche del basso medioevo, da Bellarmino in poi, a dimostrazione del fatto che, è una formula che, si presta a mille usi.
La mia domanda era: perché il principio di laicità è supremo? Perché la posta in gioco è suprema. Non è solo una questione delle interferenze che possiamo giudicare gravi o meno, in un senso o in un altro. Oggi noi abbiamo sotto gli occhi iniziative che sembrano nascondere ingerenze della Chiesa verso lo Stato, ma nulla esclude che sia reciproco, dello Stato verso la Chiesa, il Concordato del ’29 mussoliniano voleva attribuire all’autorità civile la nomina dei vescovi. Il carattere supremo sta a dire che è in gioco una posta suprema.

Questo Pontefice, prima di assurgere al trono di Pietro, riflettendo sulla crisi della società occidentale e sui segni di disgregazione, sull’egoismo, il rilassamento dei consumi, concludeva che la società civile non è una societas perfetta. Questa espressione indica quella società che è in condizioni e in grado di perseguire da sé, con le sue forze, il fine per cui è stata creata. La Chiesa è una societas perfetta, ma lo Stato, la società statale non lo è più. Un’affermazione di questo genere ha importanza elevatissima: il diritto costituzionale si basa sul principio che, attraverso questi strumenti, un popolo è in grado di perseguire autonomamente i propri scopi senza avere bisogno di un supporto di autorità diversa. Quando una delle due società una dice all’altra che non è più perfetta, si comincia a rotolare su una china in cui l’autonomia delle due sfere non viene più considerata. Ecco perché è così importante non solo il principio di laicità, ma il carattere essenziale e fondamentale del principio di laicità. Se non si difende il principio di laicità, non si difendono le basi stesse della convivenza tra di noi, che è una convivenza tra persone che professano le religioni più diverse o che non professano alcuna religione. Lo stato è societas perfetta, in quanto è in grado di assicurare la buona coesistenza, la convivenza, tra tutti questi soggetti. Se invece qualcuno ci dice: tu sei società imperfetta e c’è bisogno dell’apporto della religione – badate, non si può sostenere che c’è bisogno dell’apporto di più religioni, perché diventerebbe un fattore distruttivo, la religione può essere cemento della vita civile solo se è una – ecco, cade il principio.

Quindi è fondamentale, non tanto per i rapporti tra Stato e Chiesa, quanto per la nostra auto considerazione, per il modo in cui noi cittadini consideriamo noi stessi.
* Gustavo Zagrebelsky è presidente onorario di LeG; il testo che pubblichiamo è la trascrizione di una parte della conferenza che il presidente emerito della Corte Costituzionale ha tenuto a Firenze, per l’Istituto di Scienze umane, a Palazzo Strozzi, dall’1 al 3 dicembre, dal titolo Di che vive la Costituzione? Variazioni.La trascrizione dell’intervento è a cura di Olga Piscitelli

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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