Milano, un futuro da metropoli

02 Ott 2008

Quale sarà il futuro della città? Che progetti ha per sé Milano? Tra le lusinghe dell’Expo e il disegno di un’area metropolitana, che non può più essere rimandato, la città deve mettersi in discussione. Nel tentativo di fare il punto, Libertà e Giustizia riunisce esperti di urbanistica e sociologia, architetti e operatori della cultura, tecnici e amministratori in un ciclo di conferenze dal titolo Quale Milano? Il primo incontro, nella cornice di Villa Necchi ha visto al tavolo dei relatori Alessandro Balducci, docente di Politiche urbane e territoriali al Politecnico di Milano, il presidente della Provincia Filippo Penati e Davide Rampello, presidente della fondazione Triennale e Stefano Pareglio, professore di Economia ambientale alla Cattolica che fa parte del consiglio di direzione di LeG e ha curato la rassegna. “Che città sarà quella del 2016?”, chiede provocatoriamente Pareglio. Le risposte lanciano sul tavolo della discussione temi controversi. Balducci che conosce a fondo le dinamiche dell’area metropolitana, ricorre a uno studio dell’Ocse: “Per parlare di Milano bisogna ormai fare riferimento ad almeno tre regioni, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Un bacino che in Europa conta pochi modelli, quello della Ruhr, in Germania, l’area attorno a Madrid e, più a nord, la mega regione tra Olanda e Belgio”.

Lo sguardo di Balducci va ben oltre i confini delle mura spagnole e delle circonvallazioni che delimitano le periferie. “C’è un’area di regione urbana che comprende la corona delle province. Non è solo questione urbanistica: la popolazione diminuisce, il numero di famiglie però cresce e si sposta sempre più verso l’hinterland e oltre verso le città limitrofe. Milano però resta il cuore di questa mega-city-region e guadagna, per esempio, 320 mila posti nel terziaro, riequilibrando gli esuberi del manifatturiero”. I costi si contano in termini di congestione: la città, spiega Balducci, è una sorta di piattaforma che di giorno ospita un numero di persone doppio rispetto ai residenti: è a rischio la capacità di coesione che ha fatto la storia dei quartieri e dunque della città. “Paghiamo il fatto di non aver avuto una politica della casa che ora si riverbera anche sull’accoglienza degli immigrati; è mancata una politica dei servizi che avrebbe potuto far fronte alla crisi di posti di lavoro. Ora bisogna governare l’area metropolitana perché la strutturazione del territorio non diventi degenerazione del tessuto storico urbanistico ma anche culturale”. Ed ecco la ricetta: “I quartieri sono strutture importanti dentro la città. Occorre una metropoli policentrica con piattaforme comuni e disegni che vadano oltre i vecchi confini”.Ma quale cultura è possibile in una città infinita o metropolitana? Davide Rampello che presiede la fondazione Triennale risponde con sicurezza: “La cultura è lo spazio dove si possono privilegiare temi artistici senza dimenticare i problemi sociali.

Gli interlocutori devono essere molteplici e dunque bisogna coinvolgere università, commercio, industria, per far sì che la cultura, in tutte le sue espressioni, sia rappresentativa della città, quasi specchio del mondo che rappresenta”. Il lavoro degli operatori culturali è complesso, ammette Rampello, “bisogna costantemente “ideare” che secondo l’etimologia greca vuol dire avere visioni: solo così si diventa parte integrante del welfare”. L’esempio della “sua” Triennale che, rimesso a nuovo il palazzo del Muzio, in pieno centro, cerca alla Bovisa gli spazi espositivi e dunque va in periferia, è uno dei modi possibili di estendere cultura sul territorio della città: “ora la Bovisa è un centro”. Rampello cita Sant’Agostino, da cui riprende il concetto di futuro come “tempo presente dell’attesa” e San Matteo quando dice: “E’ nel cammino il destino dell’uomo”. Invita all’entusiasmo, alla generosità del fare. Ma è al presidente della Provincia Filippo Penati che tocca la parte più scomoda. Cosa fa la politica? “Continuiamo a porre l’attenzione sullo spirito della città, sul modello ambrosiano. Esiste ancora questo spirito? Questa è la città che ha fatto dell’accoglienza uno dei tratti distintivi della sua anima. La discriminante era il lavoro, chiave per l’integrazione. Ma è ancora così? Davvero il lavoro è ancora un elemento di integrazione? I dati degli osservatori nazionali dicono che Milano è oggi il centro di una nuova povertà, quella di chi ha un lavoro ma non riesce ad arrivare a fine mese”.

Fin qui, l’analisi. Poi il mea culpa: “In questi anni la politica ha sbagliato. Il centrodestra ha cavalcato la crisi del modello ambrosiano e dunque l’allarme sicurezza per un ritorno elettorale immediato. Il centrosinistra ha continuato a credere nel mito, inseguendo un modello che non aveva più riscontro nella realtà. Ha chiesto sempre più disponibilità all’accoglienza senza sostenerla con le politiche giuste. Infine, uno sguardo al futuro: “L’Expo 2015, anche per gli analisti internazionali, è la manifestazione di bandiera di cui la città ha bisogno per un rilancio. Può essere una grande occasione per fare il ‘tagliando’ al mito del modello ambrosiano. Ma è un’arma a doppio taglio. Se si sbaglieranno le politiche, la città cambierà costituzione sociale: c’è il rischio di un ulteriore impoverimento del ceto medio. Milano non può permettersi che l’Expo sia un’occasione solo per pochi fortunati imprenditori”. Ed ecco il progetto per la città: “Milano deve ritrovare la sua capacità di essere centro di scambi, questo è il suo destino. Alta velocità e infrastrutture dovranno accelerare il consolidamento dell’area metropolitana. Ma al di là dei personalismi di cortile, tutti gli amministratori dovrebbero cedere sovranità alle authority da creare sulla base delle funzioni: l’authority dei trasporti e quelle dei servizi, per esempio”.

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