Calabria, i giovani e la speranza

16 Set 2008

L’ impressione è sempre la stessa, quando riparti e ti lasci alle spalle quel lungomare patrimonio dell’umanità, i suoi ficus cavernosi, il cielo sulla Sicilia e le acque dello Stretto che per un po’ ti inseguono: io parto, pensi, e loro rimangono qui con il “ritardo storico” del Mezzogiorno, la ’ndrangheta, i fondi europei non spesi, i consiglieri regionali indagati, la costa saccheggiata e i giovani senza speranza.E ti senti come uno che scappa, anche se li hai rassicurati, i ragazzi e i professori del primo corso di formazione politica di Libertà e Giustizia: siamo qui per cominciare, per studiare insieme a voi e dirvi che torneremo, cresceremo insieme. Senti nel cuore lo sguardo severo, che non ti regala alcunché di questi ventenni molte volte blanditi e altrettante traditi. Ho con me quella poesia di Montale , “Diacronia”, che dice nei suoi versi finali: «Bisognerà lavorare di spugna su quanto escresce / schiacciare in tempo le pustole di ciò che non s’appiana. / È una meta lontana ma provarcisi / un debito».Si parte dal basso, nella fiducia che il segnale lanciato si rafforzi, aggreghi, sia di aiuto e il debito proviamo ad onorarlo. Così, lontani, sul serio, dall’attenzione dei media, in una aula dell’Università Mediterranea, per tre giorni alunni, professori e esperti dell’amministrazione pubblica hanno affrontato il problema dei problemi: i soldi, i fondi europei che salvano e dannano, che ci sarebbero ma non ci sono, oppure che ci sono stati e non si sa come siano stati spesi.

Quei fondi che affinché continuino comunque ad essere a disposizione bisogna far sì che la Calabria si sviluppi ma non troppo: se uscisse dalla fase della crescita più povera, se salisse di qualche percentuale, facesse un passo avanti, quel fiume di danaro si seccherebbe alla sorgente: ecco perché la politica non vuole investire in troppi progetti, dice qualcuno. Ecco, alla fine, il cuore delle relazioni. La politica non vuole progettare e investire, non è capace di farlo, oppure ha paura, perché ogni scelta di localizzazione dell’opera pubblica comporta anche la scelta della cosca che vai a favorire? La prima tesi (la politica non vuole progettare) si basa sulla considerazione che i piani non si fanno se non c’è un ritorno immediato. Recentemente è stata scelta la via di mandare 4000 studenti in Inghilterra perché c’era necessità di pianificare subito o i fondi andavano persi. Una scelta giusta, dicono alcuni, di successo. Che altri ragazzi della scuola contestano duramente: non è rimasto nulla quaggiù e ci mancano aule e strumenti didattici. E vigilano affinché progetti di tipo “elettoralistico” visivo e senza conseguenze durature sul territorio, non vengano varati in vicinanza delle elezioni regionali, fra due anni.La politica è incapace di programmare? È questa in sostanza la tesi del più esperto, Salvatore Orlando, attuale dirigente della programmazione della regione Calabria: «abbiamo una pessima amministrazione, non siamo in grado di monitorare i progetti» e fa un paragone con la situazione che aveva un anno e mezzo fa in Sardegna, dove Soru si alzava di notte e controllava personalmente al computer ogni euro speso dei fondi comunitari.

Loro, i calabresi, si sono sentiti rifiutare progetti sui fondi del 2000- 2006 perché tutti chiaramente progetti di sussidio. La politica ha paura? Lo sostengono in molti che il nodo è l’intreccio con gli interessi criminali, lo conferma il magistrato Alberto Cisterna della direzione nazionale antimafia e anche Marco Minniti (ministro dell’Interno nel governo ombra) che ribadisce: «Perché le cosche si occupano degli appalti? Certo per il guadagno, ma prima di tutto per stabilire il principio di sovranità sul territorio: quasi tutta la cupola è stata arrestata, ma se si vuole davvero combattere la criminalità bisogna rescindere il rapporto con la politica».Tutti d’accordo, professori, politici, esperti su questo punto, e gli studenti incalzano anche il Partito democratico: «Perché non la fate qui la scuola di formazione? Perché a Reggio Calabria non è stato aperto un solo circolo del Pd? Perché non ci sono le tessere?». Non fanno sconti a nessuno, ma imparano: e la loro idea è semplice: «Noi dobbiamo crescere per non avere più bisogno dei fondi europei». Un passo avanti, per la liberazione dall’abbraccio delle cosche, può essere la “stazione unica appaltante” cioè il tentativo ora nelle mani del prefetto di Reggio Calabria e già sperimentato a Crotone, di convincere i comuni a far passare tutti gli appalti al vaglio e al parere del prefetto: uno strumento non impositivo, che se migliorasse anche del 5 per cento il “contesto” avrebbe un effetto sul territorio molto importante.

Per ora su 97 comuni della provincia di Reggio già 60 hanno deliberato l’adesione. C’è poi l’invenzione del “comune virtuoso”, cioè un sito sul quale si misurano via via la rispondenza dei comuni a 14 parametri (dalla trasparenza all’autocertificazione sull’abusivismo edilizio, delle nomine, delle licenze, della riscossione tributi ecc.). Si tratta di passare da una politica di controlli imposti a una strategia di controllo “collaborativo”.Funzionerà? «Il primo nemico da sconfiggere è che sia impossibile farcela» è il messaggio che viene agli studenti dalle istituzioni locali. Ma intanto c’è la notte bianca a Reggio Calabria e giurano che sia costata due milioni di euro e che la gente vuole divertirsi e bisogna dare qualcosa. È vero? La strada per farcela è lunga, accidentata, forse impossibile. Bisogna accompagnarli. Fare scuola, fare formazione, imparare ad amministrare la cosa pubblica. Dare esempio. O forse più semplicemente, onorare un antico debito.

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