Pd, le belle parole

09 Set 2008

La vera festa, per loro, i ragazzi di Walter, è finita verso le dieci di sera, quando a un tavolo del ristorante uno si è alzato, ha intonato «Bella ciao» e tutti gli altri si sono uniti al coro, insieme ai volontari della cucina, ex diessini, ex margheritini, nuovi arrivati… quelli, insomma a cui Walter vuole passare al più presto il timone, creando una nuova classe dirigente, e scavalcando le generazioni di mezzo che gli fanno la guerra e sono poco affidabili. I cori continuano e si osa sempre di più, fino a «Bandiera rossa», ma loro, i giovani del sud e di Varese, si sentono a loro agio, questa è casa loro.I più anziani, alla fine della festa, nutrono sentimenti più complessi. Erano arrivati arrabbiatissimi, delusi, rinunciatari, ossessionati dal rischio evocato da Scalfari di una frammentazione e polverizzazione già in atto. Se ne vanno abbastanza rassicurati e chiedono «Adesso basta parlar male di noi». Vogliono vedere il partito che nasce, le tessere che cominciano a registrare una ritrovata identità, l’opposizione fortissima alla politica del governo, i parlamentari che tornano al territorio, e la ricerca decisa dei bisogni e delle ragioni di quel popolo che soffre e del quale il Pd non ha ancora imparato a capire dove vada il cuore.Può una festa modificare l’umore della base e la politica del vertice? È un po’ presto per fare un bilancio serio di quello che è accaduto a Firenze, alla Fortezza, in una manciata di pomeriggi e serate. Però si può dire che qualcosa di importante è stato detto, molte voci si sono fatte sentire.

È ripreso il dialogo tra i militanti stanchi di aspettare e i leader che hanno promesso. Se le parole di Veltroni o D’Alema non resteranno belle parole e basta forse un giorno si potrà dire che il vero patto fondativo del partito che ha perso le elezioni ma la cui forza elettorale Veltroni ha ricordato in maniera ossessiva si è stretto qua, nelle discussioni della prima festa del Partito democratico, la prima vera occasione di confronto a tu per tu fra la base e il vertice.Avevano, avevamo chiesto di esser rassicurati sui principi e i valori, su una opposizione visibile, sul radicamento sul territorio, su una agenda di priorità assolute fra le tante emergenze che assillano il cittadino comune, dal suo salario alla scuola dei suoi figli. Avevano chiesto che finisse il litigio e cominciasse l’era di una responsabile comunione di leadership.D’Alema ha detto di esser disponibile a dare una mano, come «soldato semplice» Ha spiegato che in Italia «c’è una inedita concentrazione di poteri che non esiste in nessun Paese democratico», non c’è dunque una «democrazia normale» ma un enorme «conflitto di interessi di chi adopra il potere mediatico per procurarsi potere politico». Ha detto di esser contrario alla separazione delle carriere per giudici e Pm e ne ha spiegato i motivi, ha aggiunto: «Berlusconi si arrabbia quando la giustizia funziona, i cittadini quando non funziona». Sembrava quasi di sentire parlare Antonio Di Pietro, ma alla folla è piaciuto così, molti minuti di applausi.Veltroni ha fatto l’elenco dei padri del Pd, rispondendo ai timori sui principi: Spinelli, Vittorio Foa, Oscar Luigi Scalfaro, Ciampi, Ingrao, Tina Anselmi e Giorgio Napolitano.

Ha svegliato l’orgoglio ferito dalla sconfitta assicurando che il Pd non «alza bandiera bianca», ha chiesto a tutti meno convegni e più lavoro sul territorio. Ha scandito: «scuola, salari, occupazione» come il grande impegno del partito. Sia D’Alema che Veltroni hanno raccomandato la ricerca e l’ascolto di quel “popolo” evocato da Reichlin in un articolo sull’Unità come un dovere assoluto e la premessa per un possibile successo.Le differenze, gli scambi di “cortesie” ovviamente ci sono stati e ci saranno ancora. Ma Walter e Massimo sanno che la loro gente non gradisce affatto e che reclamano unità di lavoro e di obiettivi.Veltroni ha chiuso con le belle parole che Foa gli ha affidato, commentando una nuova prefazione a un suo vecchio libro: «Sono pessimista sul passato e ottimista sul futuro».Era proprio quello che la gente della festa voleva sentirgli dire. Se ne vanno dalla Fortezza un poco meno abbattuti. In fondo basta così poco per non spegnere la passione di chi vuol dare una mano a sconfiggere la brutta Italia di Berlusconi, senza respingerla nel buco nero della dannazione, ma cercando di comprendere i sentimenti e il cuore, non nella deriva populista ma in quella democratica di un grande partito della gente. Basta che le belle parole non volino via col vento caldo che ancora inesorabile ci insegue ed opprime.

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