La sinistra e la questione meridionale

08 Feb 2008

E’ trascorso quasi un secolo e mezzo da quando Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti pubblicarono le loro celebri inchieste sulle condizioni sociali, politiche e morali delle province napoletane e della Sicilia. Fu grazie ad esse che “la questione meridionale” prese un volto, e il problema venne seriamente e drammaticamente illuminato. A leggere oggi le conclusioni di quelle inchieste, si rimane meravigliati, addirittura sbalorditi, tanto appare che per aspetti decisivi la situazione è rimasta quella di allora. L´economia, i rapporti di proprietà, i modi di produzione, le stratificazioni sociali sono cambiati, ma è come se questo cambiamento fosse rimasto senza effetto su troppa parte della mentalità, del costume, dei modi di fare politica, di gestire il potere, degli atteggiamenti e dello spirito di chi sta in alto e di chi sta in basso. Sicché la questione meridionale non solo è tutt´altro che finita, ma resta una componente e finanche il cuore della “questione italiana”. Sappiamo bene, ed è giusto dirlo, che i vizi della società, della politica e del costume non pervadono l´intero paese e che a contrastarli vi sono stati nel corso della storia dello Stato unitario movimenti vivi e importanti. Ma il punto è che queste energie positive non hanno vinto la loro battaglia, per cui il paese rimane moralmente e civilmente malato. Avevano ben ragione i meridionalisti delle varie scuole a sostenere che la questione meridionale non costituiva in alcun modo un affare regionale bensì una questione nazionale; ma è amaro dover oggi constatare che i loro progetti e programmi – i quali al fine della “rinascita del Sud” facevano leva vuoi sul ruolo moralizzatore dello Stato centrale nei confronti delle verminaie locali, vuoi sull´iniziativa di élites illuministiche rigeneratrice del costume corrotto, vuoi sull´azione delle masse lavoratrici volta alla creazione di una nuova classe dirigente -, nonostante grandi e memorabili battaglie e parziali successi, non sono riusciti a porre fine o quanto meno a collocare ai margini la commistione di affarismo e clientelismo, il saccheggio delle risorse pubbliche, la diffusa corruzione, l´intreccio delle collusioni tra settori influenti dei partiti e le perverse organizzazioni criminali capaci di piegare ai loro interessi settori cospicui della politica, dell´amministrazione, dell´economia e persino di frange della magistratura e delle forze dell´ordine.

Ciò che è emerso recentemente in Campania e Sicilia lo dimostra a chiare lettere: tradimento dell´etica pubblica e dell´interesse generale da parte di chi governa, incompetenza e indifferenza di fronte alla gestione del territorio, spreco e saccheggio di un mare di danaro, umilianti pratiche spartitorie, sacche di malasanità imperante, rivendicazione di innocenza da parte delle autorità regionali secondo lo spirito dello scaricabarile. La piaga della “monnezza” napoletana – con lo spettacolo offerto da politici intesi a nascondersi, dalla camorra scatenata in difesa dei propri traffici, da gente del popolo dai criminali largamente manovrata e ridottasi a plebe incendiaria dei suoi stessi rifiuti, dal correre in tutta fretta ai ripari da parte dello Stato, dalla non disponibilità di molte regioni del Centro e del Nord a offrire soccorso – è assurta a simbolo di una débâcle nazionale. E sintesi del collasso dell´etica pubblica è l´atteggiamento di quei potenti feudatari della politica i quali in perfetta buona fede (qui la piaga si mostra in tutta la sua purulenza) si difendono dall´accusa di spartire tra i loro fedeli cariche e prebende affermando che “così fan tutti”. Mentre la crisi morale e civile attanaglia il paese, ecco il precipitare della crisi politica, istituzionale, partitica. E´ caduto un governo che nella sua breve vita ha fatto buone cose, ma ha scontato il fatto di avere come premier “un re polacco”, legato ad un coalizione troppo variopinta, sottoposto alle pretese, ai mugugni, ai veti di ciascuna componente e appeso ad un filo infine reciso dal titolare di un grande feudo elettorale del Sud.

E ora si prospetta, salvo l´intervento di una Provvidenza indignata, il ritorno al potere di Berlusconi, Bossi, Fini e Casini mediante il ricorso al voto con le regole della Legge Porcata, che dà nuovamente alle oligarchie di partito il potere di imporre agli elettori i candidati a loro graditi (a meno di ipotetiche correzioni decise “privatamente”, per sé, da quei partiti che ne provassero troppo imbarazzo). Una situazione, fatta apposta per diffondere il sentimento dell´antipolitica e del non improbabile aumento dell´astensionismo anzitutto nelle file dell´elettorato di centrosinistra a vantaggio del centrodestra. All´idea di rivedere trionfanti capi di partito il cui programma è: far apparire il conflitto di interessi come un elemento costitutivo delle libertà politiche e civili; “mettere al loro posto” una volta per tutte i magistrati giacobini come presupposto di una vera giustizia; favorire ancor più in nome della libertà di mercato e dell´iniziativa di impresa il 10 per cento di quanti posseggono il 45 per cento della ricchezza nazionale; far scorrazzare a briglia sciolta nel campo dell´informazione le televisioni e i giornali del Primo Plutocrate; porre ancor più la società e lo Stato italiano sotto l´ala sempre più larga e lunga della Chiesa-Stato; lasciar libero spazio all´esercizio delle forme più smaccate di clientelismo; a una tale idea viene un senso di turbamento psicologico, si avverte un´asfissia morale, si cade nello sconforto politico.

E lo sconforto è accresciuto dall´interrogativo inquietante: come è possibile che la maggioranza degli italiani, quali che siano stati i limiti e le inadempienze del governo Prodi, sia desiderosa di riconsegnare il paese a Berlusconi? E´ un interrogativo inquietante, che la dice lunga sull´immaturità di tanta parte del nostro popolo, sulla sua sordità ai presupposti più elementari di un ordinamento modernamente civile, sull´indifferenza al rischio che l´Italia, ripetendo quanto avvenuto per secoli dopo il tardo Cinquecento, si tagli fuori dal circolo dell´Europa più civile.Si vorrebbe, di fronte a tutto ciò, poter avere fiducia, una forte e sicura fiducia nei partiti che si apprestano a opporsi all´alleanza berlusconiana. Orbene, essi devono sapere che ora più che mai occorre mostrare di essere capaci di conquistarsela questa fiducia, che l´impresa è difficile, molto difficile, per nulla scontata, che la stanchezza tiene per molti la mano alla diffidenza, che il grillismo pesca nel loro bacino e non nell´altro, che le rendite di consenso tradizionale sono al minimo storico. Se la malasorte dovesse riservare la sconfitta elettorale, che ad essa non si pervenga almeno per confusione, incapacità e mancanza di determinazione. Poiché l´una è rimediabile, le altre causerebbero una frana rovinosa, dando il segno che l´Italia è colpita da una sclerosi che ne ha devastato i tessuti vitali.

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