“Siamo impazziti?”

03 Gen 2008

Aiuto!!! Non si era ancora spenta l’eco della voce del presidente della Repubblica che incitava a trovare un accordo per fare le riforme indispensabili, che il numero due del Partito democratico, Dario Franceschini ha deciso di sparigliare il gioco, col rischio di far saltare quei tavoli traballanti sui quali si sta giocando il futuro delle istituzioni italiane. Franceschini ha riscoperto il modello francese, accompagnato dall’elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica, non si capisce bene ma forse non lo sa nemmeno lui.
Aiuto! Sì, qualcuno ci aiuti a capire. Infatti le cose stanno all’incirca così. Esistono due forme almeno di fare politica. I sostenitori della prima dicono che alle volte è utile fare “provocazioni”: servono a buttare il sasso nello stagno; l’argomento conteso non è più un tabù; si comincia comunque a discuterne sia pure per attaccarlo; comunque si controllano le reazioni…
I critici delle “provocazioni” sostengono invece che esse mettono a nudo il fatto che le posizioni su cui si tratta non sono condivise; evidenziano le divisioni; suscitano sospetti di secondi fini; e producono come conseguenza confusione, disorientamento e la necessità di ripartire da zero.
Nel caso della nuova proposta dei vertici del Pd ci sembra di poter condividere la domanda di Massimo D’Alema: “Siamo impazziti?”
Per quanto ci riguarda siamo da tempo convinti che alcuni aggiornamenti anche coraggiosi dell’ordinamento delle istituzioni vadano fatti, anche superando timori legati agli spettri del Novecento (intesi come dittature e regimi autoritari) creando un sistema che consenta a chi governa di scegliersi la squadra di governo e di modificarla in corso d’opera se non funziona, di vedere discusse le proprie proposte con iter più spediti, di semplificare il bicameralismo perfetto.

Insomma un pacchetto di riforme che dia un saggio potere in più al presidente del consiglio.
Vorremmo però consegnare questi poteri in più a una classe dirigente seriamente consapevole della aumentata responsabilità, che non ne approfittasse per diventare essa stessa inamovibile dispensatrice di poltrone. Vorremmo che questi dirigenti militassero in partiti (di sinistra, di centro, di destra) regolamentati da trasparenti e ferree norme interne di democrazia. E vorremmo che questo aumento di poteri non mortificasse né i poteri del Parlamento né quelli del presidente della Repubblica.
In sostanza: non ci sembra saggio rincorrere De Gaulle (discusso anche in Francia) quando in tutta Europa vigono sistemi parlamentari simili al nostro.
Certo vorremmo che il Parlamento fosse eletto da una nuova legge elettorale, rispettosa del legame fra eletti ed elettori, che sottraesse la maggioranza alla sempre più insopportabile dittatura di alcune minoranze.
Vorremmo anche che nessuno si scordasse a chi dobbiamo questa nefasta legge elettorale, allo scopo di evitare nel futuro di dare il potere (quel potere che vogliamo rafforzare…) a chi ne ha fatto un uso personale così scellerato.
Questo pensavamo di volere come speranza per il 2008. Ora dobbiamo aggiungerne un’altra, che forse viene ancora prima: caro Partito democratico, non abbiamo bisogno di provocazioni, e nemmeno di sassi nello stagno.

Noi dallo stagno vogliamo uscirne con una politica che sia all’altezza della situazione difficilissima, vogliamo parole di trasparenza e posizioni chiare.
Vogliamo che smetta l’epoca dei sospetti e delle congiure. Vogliamo riforme sagge e ponderate. Anche perché alla fine, riformato il sistema, se le cose non funzionassero, i politici dovrebbero cercarne le cause altrove, e smettere di puntare sempre il dito contro la Costituzione (parte seconda, quando va bene). Che ancora probabilmente non conoscono bene, e forse farebbero bene a leggerla e rileggerla prima di dedicarsi con tanta passione a provocazioni e sassi nello stagno.

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